Di Maio vorrebbe garantire agli italiani i diritti sociali. In realtà aspira ad essere investito di un potere senza confini
La promessa di assegnare allo Stato la soluzione di ogni problema nasconde la richiesta di azzerare l’autonomia e la responsabilità dell'individuo
L’On.le Luigi Di Maio ha rinnovato, ancora una volta, la promessa di garantire ai cittadini italiani la titolarità e l’effettività di quei diritti sociali che secondo lui sarebbero stati gravemente violati dalle politiche economiche e sociali degli ultimi Governi.
Il Capo politico del movimento cinque stelle, infatti, all’interno del video con il quale venerdì 18 maggio ha comunicato i risultati della consultazione degli iscritti al movimento sul contratto di Governo, non ha lesinato un entusiastico richiamo alla riconquista di quei diritti sociali che la sinistra nell’ultimo decennio avrebbe deliberatamente dimenticato.
Di Maio, in particolare, ha fatto un incisivo cenno alla necessità di assicurare un salario minimo imposto per legge sopratutto per quei lavoratori precari impiegati nell’erogazione dei nuovi servizi offerti da alcune multinazionali (Deliveroo) ed ha ribadito l’inevitabilità dell’abrogazione della legge Fornero affinché si possa porre termine alle presunte ingiustizie sociali che quel provvedimento ha determinato nel corso degli ultimi anni.
Gi esempi citati dal leader dei grillini s’inscrivono, com’è noto, all’interno di un più ampio contesto di programma politico - amministrativo che presuppone l’accrescimento smisurato del ruolo dello Stato e la riduzione dell’individuo a soggetto che elemosina nei confronti del potere politico la soluzione di ogni sorta di difficoltà lavorativa, economica, abitativa o di qualsivoglia diversa natura.
La proposta marcatamente sociale del movimento cinque stelle svela evidentemente il desiderio di blandire l’elettorato e di fornire rassicurazioni riguardo alle principali preoccupazioni esistenziali che, a quanto pare, attanagliano la maggioranza relativa degli italiani.
Ciò che Di Maio, tuttavia, omette di rivelare all’opinione pubblica è la trasformazione della funzione dello Stato in anestetico delle potenzialità e delle responsabilità individuali, le quali, nell’ottica massimamente sociale rappresentata dalla prospettiva grillina, non avrebbero più necessità di esplicarsi sotto alcuna forma, poiché spetterebbe all’Autorità pubblica farsi carico di ogni criticità.
L’individuo, in sostanza, non sarebbe più, nemmeno in minima parte, artefice del proprio destino, sebbene a costo di scelte difficili e gravose, perché potrebbe fare affidamento per ogni esigenza sulla forza del potere politico il quale, investito del consenso democratico, riuscirebbe ad alterare e correggere continuamente gli esiti della libera e spontanea cooperazione di milioni di individui.
Cosicché la retribuzione oraria striminzita sarebbe sostituita d'autorità da un salario dignitoso, la condizione di disoccupazione (dovuta magari al fallimento dell’azienda che non riuscirebbe più a collocare sul mercato beni e servizi anche a causa dell’aumento del prezzo alterato proprio dall’intervento statale sul costo del lavoro) da un reddito di cittadinanza o dalla nazionalizzazione dell’impresa espulsa dal mercato, la pensione insufficiente da un congruo assegno rideterminato per legge, l’età pensionabile troppo in là con gli anni da una soddisfacente fuoriuscita anticipata dal mondo del lavoro.
Senonché non può sfuggire, ad un attenta riflessione, come la soddisfazione di tutte queste pretese (diritti sociali) e di molte altre ancora, da parte dello Stato, presupponga ed implichi il riconoscimento di un potere smisurato (quasi assoluto) in capo all’apparto pubblico e al ceto politico italiano che tanti strali, invece, si è attirato nell’ultimo decennio proprio dagli esponenti del movimento cinque stelle.
Un potere che considera la soddisfazione dei bisogni una variabile indipendente dalla ricchezza prodotta dal Paese e dalla ridistribuzione che l’insieme delle libere attività umane determinano.
L’ampiezza dello Stato sociale rappresentata ed auspicata da Di Maio richiede, solo per fare alcuni esempi, il potere d’imporre una tassazione senza alcuna limitazione o, alternativamente, quello di accrescere il debito pubblico senza sosta a danno delle generazioni future o, ancora, quello di azzerare il debito senza il consenso dei creditori.
Allo stesso modo la negazione dell’iniziativa privata nella soddisfazione di interessi generali ed il rifiuto dell’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale (affidare ai privati la gestione dei servizi pubblici, per esempio) conduce inevitabilmente allo smisurato accrescimento dell’apparato amministrativo, all’aumento dei dipendenti pubblici, all’espansione delle facoltà discrezionali di politici e burocrati che diventano, questi ultimi, gli unici detentori di un immenso potere pressoché insindacabile.
Di Maio rivendica la necessità di garantire agli italiani i diritti sociali, ma in realtà vuole essere investito di un potere senza confini che riduca l’individuo e la responsabilità che dovrebbe accompagnarne ogni singola azione a ben poca cosa.
Di Maio auspica un uomo asservito allo Stato.