Ruspe sullo Stato di diritto
La vicenda giudiziaria di un nomade risarcito dal ministero dell’Interno svela come giornali e mass media disprezzino i fondamenti della cultura garantista
Accade che durante un inseguimento diretto ad arrestare la fuga di un nomade irregolare che era scappato dopo avere rubato una Fiat uno, un poliziotto gli spara contro e lo ferisce gravemente alla schiena rendendolo semi paralizzato.
Inevitabilmente l’episodio finisce dentro le aule della giustizia italiana, la quale, per mano dei suoi magistrati, fa quello che di regola deve fare un Paese civile; esamina prove, ascolta testimoni, permette il contraddittorio fra le parti, svolge accertamenti tecnici ed emette sentenze.
Il Tribunale condanna tanto il ladro per il furto dell’automobile quanto il poliziotto che, a causa della sua imperizia, negligenza ed imprudenza, facendo fuoco contro il nomade gli ha procurato una grave lesione ai fondamentali beni della vita e della salute.
I Giudici, infine, addossano al Ministero dell’Interno un risarcimento del danno da corrispondere alla vittima della mal riuscita azione di polizia, in ragione del fatto che il furto e la conseguente fuga non possono giustificare un grave attentato alla salute umana, sopratutto quando il ladro, dal canto suo, non sta mettendo in pericolo la vita altrui.
Accade, a questo punto, che il Corriere della Sera, qualche giorno fa, dà notizia della vicenda giudiziaria con finta obiettività e giocherella sul paradosso di un sistema giudiziario che si permette il lusso di condannare lo Stato italiano per le conseguenze di un’azione volta a contrastare un crimine, lisciando così il pelo alle milioni di ruspe che sgassano pronte ad ammorbare l’aria di giustizialismo manettaro a senso unico.
A prendere la palla al balzo è il Capo ruspa in persona, attuale titolare pro tempore del Ministero dell’Interno, il quale di indignazione per l’accaduto ne sparge oltremodo via social, promettendo, per sovrappiù, di interessarsi personalmente della vicenda affinché queste storture non s’abbiano a ripetere.
Di rimbalzo la stragrande maggioranza dei quotidiani riprende la succosa vicenda e la quasi totalità di essi non vuole essere da meno nell’iniettare olio lubrificante nei cingoli delle già roboanti ruspe, fors’anche perché orfane, le redazioni dei giornali, del commento di un giurista, di un avvocato, di un laureato in giurisprudenza o persino di uno studente del terzo anno di legge, che possa rendere chiaro come nella notizia del risarcimento danni a favore del nomade non ci sia proprio nulla di straordinario, d’eccezionale o di paradossale. Almeno in uno Stato di diritto che si regge sulla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali e che non fa differenza, quando si tratta di salvaguardare la vita e la salute degli esseri umani, se a rimetterci la pelle o a finire sulla sedia a rotelle sia un cittadino, uno straniero regolare o irregolare, un evasore o qualcuno che ossequia puntualmente le vessazioni fiscali (eh si, qualche buontempone ha persino fatto notare il paradosso di un Stato che paga il risarcimento ad un ladro per di più evasore).
A dare retta all’indignazione delle ruspe, dunque, le ipotesi davanti alle quali ci potremmo trovare in un futuro non molto lontano potrebbero essere due. Il poliziotto, senza distinzione alcuna, sarà autorizzato a sparare alle spalle di un ladro in fuga, sebbene questi stia mettendo in pericolo solo beni materiali e non già la vita o la salute di altri esseri umani. Il rappresentate della legge, in alterativa, dovrà distinguere lo straniero irregolare, quello regolare e il cittadino; potrà sparare al primo ma non al secondo e al terzo. Se poi lo straniero dovesse rivelarsi un nomade che non paga le tasse, il poliziotto potrà anche accopparlo e infine chiedergli lui il risarcimento del danno.