La dignità, questa sconosciuta
Negando il riconoscimento dell'uomo laddove ve n’era uno, anche lo Stato non ha avuto rispetto per sé stesso e ha confessato di essere senza dignità
Bisogna dare atto al Ministro Bonafede di avere centrato il punto quando ha detto che difficilmente dimenticheremo una giornata come quella nel corso della quale è stato girato e trasmesso il video dell’arresto di Cesare Battisti.
Sarà difficile, infatti, non pensare più al giorno in cui lo Stato italiano ha rinnegato il fondamento su cui si regge la civiltà giuridica occidentale, quanto meno a partire dalla conclusione della seconda guerra mondiale.
Consultando il vocabolario Treccani alla voce “dignità” si può leggere come il termine faccia riferimento alla “Condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a se stesso”. Nel dizionario Garzanti si chiosa, negli stessi termini, che la dignità rappresenta “la nobiltà morale che deriva all’uomo dalla sua natura, dalla sua qualità, e insieme il rispetto che egli ha di sé e suscita negli altri in virtù di questa sua condizione”.
Su questo concetto di dignità, inteso come soglia minima di rispetto che deve essere portato all’uomo per il solo fatto di essere uomo (indipendentemente dai crimini che abbia eventualmente commesso) e come dovere dello Stato di non degradare la propria condizione morale sino al punto da non riconoscere più l'uomo laddove ve n’è uno, si fonda gran parte della civiltà giuridica occidentale degli ultimi 80 anni.
Non v’è Carta costituzionale dei paesi civili che in maniera esplicita o implicita non richiami la dignità come attributo umano che vieta ai pubblici poteri di sottoporre anche il più feroce dei criminali a trattamenti inumani o degradanti. Si ponga solo mente all’articolo 27 della nostra Costituzione Repubblicana o all’articolo 1 di quella tedesca che stabilisce perentoriamente come “La dignità dell'uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”.
Il filosofo Immanuel Kant cercò di esplicitare l’idea di dignità descrivendo l’imperativo categorico “agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai come mezzo”.
Dovrebbe apparire chiaro, a questo punto, che se lo Stato trasforma un detenuto che si trova già in una condizione (legittima) di soggezione in un fenomeno da baraccone, la cui esibizione serve esclusivamente a dare sfogo alla frustrazione di milioni di spettatori assisi dentro il sempre redivivo Anfiteatro Flavio, non sta facendo altro che violarne in maniera palese la dignità di uomo.
E se qualcuno poco abituato a maneggiare i fondamentali della civiltà umana nutrisse ancora dubbi sul fatto che la dignità possa essere calpestata anche con azioni non violente da parte dello Stato, potrebbe ripassare la massima del 1996 della Commissione Europea dei diritti dell’uomo secondo la quale “Un trattamento può essere definito degradante se si umilia volgarmente una persona di fronte agli altri”.
Nel caso di Cesare Battisti, dunque, lo Stato ha utilizzato un essere umano, detenuto e inoffensivo, alla stessa stregua di una bestia, perché ne ha fatto un mezzo e non già un fine. Ma negando di riconoscere l'uomo laddove ve n’era uno, anche lo Stato non ha avuto rispetto per sé stesso e ha confessato di essere senza dignità.
Come poterlo dimenticare, Ministro Bonafede.