Perché Salvini dovrebbe accettare d'andare sotto processo
Il Tribunale dei Ministri di Catania ha posto delle questioni alle quali sarebbe bene offrire una risposta una volta per tutte
Al conduttore televisivo David Frost che nel corso di una lunga intervista chiese a Richard Nixon se l’intento di tutelare l’interesse nazionale potesse autorizzare il Presidente degli Stati Uniti d’America a compiere azioni illegali, l’ex inquilino della Casa Bianca rispose candidamente che qualsiasi azione del Presidente condotta con quel fine sarebbe stata per definizione legale. Il giornalista britannico insistette subito di rimando: per definizione? E Nixon: per definizione.
Nella trasposizione cinematografica dell’intervista, firmata da Ron Howard nel 2008 (Frost/Nixon - Il duello), il regista sottolinea l’assurdità oggettiva della tesi di Nixon con alcune inquadrature che trasmettono al telespettatore lo stupore di Frost, lo sconforto dei più stretti collaboratori dello stesso Nixon e l’immediata consapevolezza dell’ex Presidente di avere affossato con una sola affermazione il caposaldo dello Stato di diritto: l’obbligo della pubblica autorità di rispettare, essa per prima, i vincoli che si è assegnata a tutela dei principi di legalità e uguaglianza.
Il Ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini ha più volte chiamato in causa l’interesse nazionale per giustificare il comportamento tenuto in occasione del ritardato sbarco dei naufraghi dalla nave Diciotti e ha affermato di essere pronto a tenere ancora una volta la medesima condotta qualora fosse necessario.
Il Tribunale dei Ministri di Catania, tuttavia, ha chiesto pochi giorni fa al Senato della Repubblica l’autorizzazione a procedere contro il senatore Salvini per poterlo giudicare con riguardo al reato di sequestro di persona che sarebbe stato perpetrato in danno dei profughi imbarcati sulla Diciotti e costretti a rimanervi a bordo dal 20 al 25 agosto 2018 in condizioni di salute precarie.
Le testimonianze dei più alti funzionari del Ministero dell’Interno, raccolte nel corso dell’istruttoria, non hanno lasciato alcun dubbio sul fatto che sia da ricondurre esclusivamente a Matteo Salvini il diniego della sbarco e lo stesso Ministro, come detto, ne fa pubblicamente vanto.
I Giudici catanesi nella loro relazione di 52 pagine hanno ricostruito il quadro giuridico all’interno del quale si è incardinata l'azione di resistenza del senatore leghista e hanno sottolineato come le norme internazionali cui l’Italia ha volontariamente aderito e le disposizioni nazionali vigenti richiedessero l’immediato trasferimento dei naufraghi negli appositi centri d’accoglienza.
Particolarmente significati appaiono due riferimenti normativi sottolineati dal Tribunale etneo. Da un lato quello dell’articolo 23, comma 1 del regolamento attuativo del testo unico sull’immigrazione, “Le attivita' di accoglienza, assistenza e quelle svolte per le esigenze igienico-sanitarie connesse al soccorso dello straniero possono essere effettuate anche al di fuori dei centri di cui all'articolo 22, per il tempo strettamente necessario all'avvio dello stesso ai predetti centri o all'adozione dei provvedimenti occorrenti per l'erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato.”; dall’altro, il principio sancito dalla Corte costituzionale nella sentenza 105/2001 secondo il quale “per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell’immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi problemi di sicurezza e ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultare minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”.
Il Tribunale dei Ministri, infine, ha raccolto una mole abbondante di prove che conferma come Salvini abbia negato lo sbarco non già per evitare problemi d’ordine pubblico o attentati alla sicurezza nazionale (entrambi inesistenti nel caso di specie), ma esclusivamente in ragione della necessità di esercitare pressione politica nei confronti dell’Unione europea al fine di procedere a una equa ripartizione dei migranti fra gli tutti gli Stati della Comunità.
I migranti, in sostanza, sono stati privati della libertà personale e dell’assistenza presso i centri d’accoglienza perché la loro detenzione servisse da monito ai Paesi europei. Circostanza, quest'ultima, del tutto estranea a rappresentare una causa di esclusione della responsabilità penale del Ministro.
A questo punto servirebbe un novello David Frost con il coraggio di chiedere a Salvini: l’intento spregiudicato di fare propaganda populista, in assenza d’un interesse nazionale da tutelare, può autorizzare un Ministro della Repubblica italiana a violare impunemente la legge e a menarne, per di più, vanto? Non sarebbe più coerente svincolare l’Italia da tutti gli obblighi internazionali cui si è sottoposta volontariamente e abrogare le leggi nazionali che il Ministro non gradisce, invece di calpestare lo Stato di diritto e ridere in faccia all’ordine giudiziario che compie esclusivamente il proprio dovere?