L'indignato collettivo
Emerge un tipo ideale che racchiude molteplici personalità accomunate dall'esigenza di manifestare feroce indignazione nei confronti di qualsiasi tentativo di formare un nuovo governo
La lunga crisi di governo aperta dalle dimissioni di Giuseppe Conte ha portato alla ribalta nel dibattito pubblico la maschera teatrale dell’indignato collettivo. Un tipo ideale che racchiude molteplici personalità dalle sfumature più disparate, accumunate tutte però dall’insopprimibile esigenza di manifestare feroce indignazione nei confronti di qualsiasi tentativo di formare un nuovo Governo dopo la tragicomica caduta di quello giallo verde.
Alcuni hanno strapazzato la lettera e lo spirito della Costituzione repubblicana, affermando che qualsiasi nuova maggioranza parlamentare rappresenterebbe un’offesa alla volontà popolare.
Anche dall’alto dei venti centimetri di qualche cattedra universitaria s’è fatto sfoggio di una nuova dottrina costituzionale, quella secondo la quale alla caduta di un Governo seguirebbe irrimediabilmente lo scioglimento di Camera e Senato ed il passaggio della palla al corpo elettorale. Guai quindi a calpestare la volontà popolare, con buona pace, evidentemente, di ogni considerazione circa la forma di governo parlamentare, la specificità del sistema elettorale che traduce i voti in seggi e la composizione attuale del sistema politico nazionale.
Altri meno titolati hanno compulsato le monografie di eminenti padri della Patria nella speranza di trovare conferma alla propria tesi dell’inammissibilità della formazione di un nuovo governo. E gli ha detto bene che Costantino Mortati, ad esempio, ritenesse opportuno verificare alla bisogna la concordanza fra corpo elettorale e parlamentare per mezzo delle elezioni, ma di questa convinzione (e qui gli ha detto decisamente male) non si fecero persuasi la maggior parte dei costituenti che infatti non ne proferirono parola nel testo definitivo della Carta.
In ogni caso, indignazione a profusione e alti lai anche contro l’inquilino del Quirinale, reo di complicità con il nemico elitario e antidemocratico, pronto a mettersi in saccoccia un Governo nuovo di zecca.
Non potevano mancare, poi, le ricerche dei precedenti sul tema, tutti idonei a dimostrare come la crisi di governo si risolvesse persino durante la prima Repubblica con il ritorno alle urne. E pazienza se l’indignato collettivo, dismessi i panni di ricercatore storico, dimentica di ricordare al lettore che le elezioni, anche ai tempi del pentapartito, erano lo sbocco necessario della paralisi dei soggetti politici che non riuscivano ad accordarsi sulla forma di un nuovo esecutivo.
Poco importa; indignazione e straccio di vesti democratiche a favore di popolo imbufalito.
In ultimo v’è la categoria composta dai “dottor sottile dell’indignazione collettiva”. Quelli che non vogliono fare la figura degli stupratori della Costituzione e che dopo averti confessato che in fondo si, è tutto legittimo, ti ammoniscono a non confondere, però, il piano giuridico con quello politico. E giù a litania della coerenza degli uni che hanno insultato gli altri, della schiena dritta di chi non dovrebbe subire ricatti, dell’umiliazione di trattative defatiganti, del “con quelli avevamo detto mai!”.
Tutte persone in buona fede, per carità, anche queste, alle quali però andrebbe spiegato una buona volta che l’azione politica non va confusa con una relazione sentimentale all’interno della quale il compagno/a fedifrago/a è punito con la damnatio memoriae e con l’allentamento definitivo dal nostro personalissimo consorzio sociale.
Purtroppo, una comunità nazionale rappresenta per ciascuno di noi uno spazio ideale di convivenza dal quale non possiamo espellere nessuno e dentro il quale abbiamo l’unica possibilità di andare d’accordo, in qualche modo, gli uni con gli altri. Prima e dopo le elezioni.