Perché le regioni non possono bloccare i termovalorizzatori
Una recente sentenza della Corte costituzionale ricorda alle amministrazioni regionali che la realizzazione dei termovalorizzatori è prevista dalla legislazione nazionale e dalla disciplina europa.
Alcune vicende giudiziarie rimangono troppo spesso confinate all’interno del dibattito alimentato da pochi specialisti del settore, laddove dovrebbero assurgere agli onori della cronaca per consentire di misurare il livello di degrado raggiunto dalla nostra cultura politica.
Da tempo oramai alcune fasi del ciclo del trattamento dei rifiuti, come il recupero energetico tramite inceneritore e il conferimento in discarica, vengono rappresentate dagli esponenti delle amministrazioni regionali e comunali alla stessa stregua di pericolosissimi strumenti di aggressione all’ambiente e alla salute umana.
Eppure sia la legislazione europea che quella nazionale prevedono, nell’ambito della gestione dei rifiuti, una gerarchia secondo la quale dopo la prevenzione, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio, vi possa essere spazio anche per il recupero energetico tramite incenerimento e, per le parti residue, per il conferimento in discarica.
Il pregiudizio antiscientifico che si è impadronito delle classi dirigenti locali, tuttavia, impedisce di considerare il ciclo dei rifiuti nella giusta dimensione. Cosicché anche nelle realtà che non riescono a raggiungere livelli sufficienti di raccolta differenziata e persino quando vi è consapevolezza dell’impossibilità di fare affidamento su percentuali elevate di riutilizzo e riciclaggio, si continua a respingere l’ipotesi di utilizzare i termovalorizzatori per recuperare abbondanza d’energia a buon mercato e per evitare che i rifiuti finiscano in discarica.
Nel lasso di tempo trascorso fra il 2015 ed il 2018 la Regione Basilicata, solo per fare un esempio, ha emanato per ben due volte una legislazione che ha vietato la realizzazione di termovalorizzatori da parte di soggetti pubblici o privati.
E’ dovuta intervenire la Corte costituzionale (da ultimo qualche giorno addietro) che ha ricordato alla maggioranza politica di centrosinistra di quella regione come la disciplina relativa alle modalità di gestione dei rifiuti fosse di competenza dello Stato, il quale, nel pieno rispetto degli obblighi europei, ha già predisposto da tempo una regolamentazione che prevede la possibilità di realizzare i termovalorizzatori.
I Giudici, dopo avere fatto notare come la Basilicata, grazie ad un mero escamotage, abbia cercato d'eludere la prima decisione della Consulta che aveva già sanzionato il divieto imposto dall’assemblea regionale, ha rammentato anche l’esistenza di una legislazione nazionale che individua una quota di rifiuti per ogni regione da destinare necessariamente al recupero energetico.
La Corte ha inoltre precisato che il divieto di realizzare termmovalorizzatori si pone in contrasto con la legge nazionale che sotto il Governo Renzi è stata emanata per prevedere la realizzazione di quelle infrastrutture al fine di “conseguire la sicurezza nazionale nell'autosufficienza e superare le procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore”.
Peraltro il divieto imposto dalla Basilicata “potrebbe produrre un duplice effetto complessivamente negativo sugli obiettivi, sia nazionali, sia regionali. Da un lato, infatti, si aggraverebbe il fabbisogno e il conseguente deficit d’incenerimento, scaricato su altre Regioni o colmato dal ricorso alla discarica; dall’altro lato, ovviamente, si finirebbe con l’escludere, o comunque limitare drasticamente, il trattamento dei rifiuti provenienti dalle altre Regioni”.
Speriamo a questo punto che le amministrazioni regionali (quella siciliana per prima) antepongano, nella gestione della cosa pubblica, un barlume di razionalità allo sciocco e irresponsabile pregiudizio antiscientifico a causa del quale non sappiamo più cosa fare di milioni di tonnellate di rifiuti.