Meglio per tutti che il caso Gregoretti finisca davanti alla Corte costituzionale
In uno stato di diritto nessun potere politico dovrebbe essere insindacabile, soprattutto in Italia
Nel mese di marzo dello scorso anno, con valutazione insindacabile del Senato della Repubblica, è stata negata l’autorizzazione a procedere per l’accertamento del reato ministeriale di sequestro di persona aggravato ai danni dei naufraghi della Diciotti, contro l’allora ministro dell’interno Matteo Salvini. Con valutazione insindacabile dello stesso ramo del Parlamento, il prossimo 20 febbraio, per fatti del tutto analoghi, potrà essere negata o concessa l’autorizzazione a procedere nei confronti del non più titolare del Viminale e oggi semplice senatore della Lega. Con valutazione insindacabile; cosi recita l’articolo 9 della legge costituzionale n. 1 del 1989.
La norma fa affidamento, evidentemente, sulla serietà e sul senso di responsabilità di una classe politica parlamentare in grado di assumersi l’onere di distinguere il caso in cui un ministro della Repubblica “abbia agito per la tutela di un interesse dello stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico”, da quello in cui le predette circostanze risultino del tutto assenti e il rappresentate del governo meriti di essere sottoposto a processo penale.
La riserva a favore di uno dei due rami del Parlamento è tradizionalmente considerata una garanzia dell’autonomia delle valutazioni politiche in ordine all’esercizio delle più delicate funzioni di governo le quali, in circostanze del tutto speciali, possono necessitare di uno scudo penale per salvaguardare la sopravvivenza stessa della Repubblica. In altre parole, onde evitare che fiat iustitia et pereat mundus, il Parlamento può dire no all’azione della magistratura qualora il delitto, pur commesso dal ministro, abbia trovato ragione in un’inevitabile necessità di ordine costituzionale superiore.
Si tratta, come dovrebbe essere facile comprendere, di una valutazione che, per la grave deroga ai princìpi dello stato di diritto, non dovrebbe lasciare spazio a partigianerie politiche di infimo livello o a contrapposizioni precostituite fra maggioranza e opposizione.
L’eccezione al principio d’uguaglianza e al dovere di tutela dei beni giuridici individuali (di cui sono titolari le vittime dell’azione compiuta dal rappresentante del governo) può trovare giustificazione, poi, solo attraverso l’esternazione di un’adeguata e comprensibile motivazione, che individui concretamente l’interesse dello stato costituzionalmente rilevante o il preminente interesse pubblico per la salvaguardia dei quali il ministro abbia agito e che dia conto della materiale impossibilità di tutelare gli interessi della Repubblica senza sacrificare quelli delle vittime del reato.
La storia del caso Diciotti e la cronaca dell’affaire Gregoretti, invece, dimostrano come l’insieme delle delicatissime problematiche giuridiche sottese alla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini – problematiche dalla cui soluzione dipende l’identificazione del genere di stato di diritto che vogliamo essere – abbiano ceduto il passo alla partigianeria, alla strumentalizzazione politica, alla pretesa di trasformare apprezzabili margini di discrezionalità politica nell’arbitrio tipico del potere assoluto.
Senza alcuna motivazione plausibile, la maggioranza parlamentare a quell’epoca al governo ha salvato un suo rappresentante, nel marzo del 2019, da una circostanziata accusa mossa da un Tribunale della Repubblica; senza alcuna motivazione plausibile una diversa maggioranza, per metà tuttavia identica alla precedente, potrebbe consentire il processo nei confronti della stessa persona (oggi divenuto avversario politico) e per fatti pressoché identici.
Evidentemente qualcosa non va, già a partire dalla norma costituzionale che assegna al Parlamento, in questa circostanza, un potere insindacabile. E’ il caso, dunque, di raccogliere il suggerimento che la Corte Costituzionale ha offerto, seppur incidentalmente, in almeno due occasioni, allorché ha precisato che il potere del Parlamento di pronunciarsi sulla richiesta di procedere per i reati ministeriali rimane insindacabile fintantoché esso venga esercitato attraverso congrua motivazione.
Sia il senatore Salvini sia il Tribunale dei Ministri, pertanto, dovrebbero tentare, successivamente alla deliberazione di autorizzazione a procedere l’uno e a quella di diniego l’altro, la strada del conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. Per conferire dignità giuridica e politica a una questione di grandissimo rilievo: quali sono le coordinate dell'interesse dello stato costituzionalmente rilevante, ovvero del preminente interesse pubblico per la cui tutela è consentito ad un ministro commettere un reato nell’esercizio delle sue funzioni anche a danno dei diritti fondamentali degli individui?
Una questione che gran parte della politica italiana ha dimostrato e dimostra di non avere la statura di potere affrontare e che deve essere consegnata ad un organo imparziale, dotato di specifica competenza e in grado di argomentare in maniera approfondita in ordine a ogni tipo di decisione adottata.