Dentro i pensieri di Conte
Il premier vuole assestare il colpo definitivo al coronavirus senza bloccare ancora l'intero sistema produttivo
Nella tarda serata di mercoledì 11 marzo, Giuseppe Conte, ha firmato il settimo Decreto da Presidente del Consiglio dei Ministri da quando il 23 febbraio ha preso avvio la pubblicazione dei provvedimenti adottati per contrastare la diffusione del Coronavirus.
Nel solco dell’ultimo DPCM adottato il 9 marzo, il Capo del Governo non accenna ad alcuna valutazione del Comitato tecnico scientifico che possa dare conto della necessità delle misure adottate, ma redige, questa volta, un provvedimento che si presenta più chiaro perché dettagliato nell’elencazione delle attività sulle quali incide.
Ai cittadini, adesso, verrà semplice destreggiarsi fra divieti espressi e semplici raccomandazioni, in considerazione del fatto che potranno avvalersi di una enumerazione puntuale delle attività che rimangono consentite nell’ambito di alcune generale interdizioni.
Annunciando il provvedimento il Presidente del Consiglio ha lasciato intendere come la progressione sempre più limitativa dei provvedimenti adottati sia stata preordinata al fine di consentire alla popolazione di adeguarsi gradualmente all’emergenza, per non ritrovarsi l’opinione pubblica smarrita davanti a misure che sarebbero apparse all’improvviso eccessivamente draconiane. Così argomentando, però, il Capo del Governo alimenta i dubbi di chi intravede nella gestione della tempistica delle risposte alla crisi la necessità di soddisfare un’esigenza più di ordine politico, in senso lato, che scientifica, nel senso più pregnante del termine.
La ratio degli interventi intrapresi, in ogni caso, è quella di ridurre ancora di più le occasioni di contatto sociale senza, tuttavia, paralizzare l’intero sistema produttivo del Paese.
Inutile cercare, come si è fatto sinora, una logica di stringente coerenza nei provvedimenti adattati dal Capo dell’Esecutivo, perché Conte ha dimostrato di non muoversi sulla base di una logica consequenziale, ma di continuare, invece, sulla strada della riduzione graduale delle attività umane che possono dare luogo a contatto sociale.
Per questa ragione sono state sospese nell’ordine, le sole attività commerciali al dettaglio, ad eccezione di quelle che si occupano della vendita di generi alimentati e di prima necessità, gli esercizi che erogano servizi di ristorazione, pur rimanendo consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto, e le attività inerenti i servizi alla persona, fatte salve le lavanderie e i servizi funebri.
Per lo stesso motivo non sono state sospese, invece, tutte le restanti attività produttive e professionali, pur potendo dare luogo, anch’esse, a contatti sociali. Per industrie e servizi il DPCM prevede solo le raccomandazioni di usufruire al massimo delle modalità di lavoro a distanza, incentivare ferie e congedi retribuiti, sospendere (ma è una raccomandazione come detto) le attività dei reparti non indispensabili alla produzione.
Resteranno aperte le edicole, i tabaccai, le farmacie, le parafarmacie,i servizi bancari, finanziari e assicurativi.
Appare evidente come il Capo del Governo sia partito dalla convinzione di potere ridurre ulteriormente tutte quelle attività che espongono al rischio concreto di contatti sociali frequenti, e di non facile contrasto per la loro capillarità, tra un numero elevato di individui (le attività commerciali appunto). Allo stesso tempo Conte è rimasto fermo nella volontà di salvaguardare le rimanenti attività produttive, probabilmente perché le considera alla stregua di organizzazioni capaci di adottare codici di auto disciplina che offrono maggiore garanzia del rispetto delle distanze di sicurezza e del divieto di assembramenti.
Sulla valutazione del Presidente ha inciso, naturalmente, l’applicazione del criterio della necessarietà, in virtù del quale si è ritenuto di potere sfoltire l’elenco delle attività davvero indispensabili ad assicurare un livello minimo di soddisfazione dei bisogni primari, senza arrivare, tuttavia, a bloccare anche la restante parte del sistema produttivo.
Va da sé che i lavoratori impiegati nelle attività sospese dal DPCM non dovranno recarsi al lavoro, mentre i dipendenti di tutte le altre attività produttive e professionali sono ancora autorizzati a portarsi sul luogo di lavoro osservando i criteri del precedente decreto. Salva, tuttavia, la circostanza che i datori di lavoro delle attività interdette non ritengano necessaria la presenza dei dipendenti per lo svolgimento di attività interne non rivolte al pubblico.
Il DPCM, infine, ha attribuito ai Presidenti delle Regioni la facoltà di potere incidere, sulla base delle diverse esigenze, sul servizio pubblico locale di trasporto anche non di linea, mentre il Ministro dei trasporti potrà provvedere alla riduzione o alla soppressione del trasporto ferroviario e di quelli aerei e marittimi, sulla base delle effettive necessità e al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali.
Proseguirà nei prossimi giorni la sequenza dei provvedimenti adottati dal Presidente del Consiglio?
Difficile poterlo prevedere. Il Presidente Conte non ha escluso alcun intervento ulteriore, ma, a differenza delle altre volte, in questa occasione ha fissato un orizzonte di tempo nella misura di alcune settimane per potere verificare l’efficacia delle azioni intraprese. Dovrebbero essere esclusi, pertanto, ulteriori misure nell’immediato.
In linea teorica, comunque, ci sarebbe ancora spazio per la limitazione delle attività di alcuna categorie produttive non indispensabili al soddisfacimento delle esigenze primarie di vita dei cittadini.
Ma ne dovrà valere la pena. Mentre è ancora tutto nelle nostre mani.