Dubbi e perplessità sulla gestione dell'emergenza del Coronavirus. Dieci domande
1) Da più parti si sente dire che la curva dei contagi da coronavirus dovrà scendere ancora. Considerato, tuttavia, che è unanime l’opinione secondo la quale in assenza di uno specifico vaccino i contagi non arriveranno mai a zero, è possibile sapere quel sarà la soglia di contagi giornalieri che si potrà ritenere fisiologica, anche al fine della cosiddetta fase 2, vale a dire al fine della ripresa della maggiora parte delle attività umane?
2) Quando l’epidemia è cominciata ad avanzare a ritmo sostenuto la preoccupazione principale è stata quella di non sovraccaricare il sistema sanitario, di consentire, cioè, agli ospedali di potere ricevere un numero adeguato di pazienti, tale da essere curato in tutta sicurezza. La convinzione di fondo è stata quella della impossibilità di fermare il contagio e di attrezzarsi, invece, per renderlo il meno letale possibile. Alla luce di questa corretta asserzione di base, perché l’attenzione continua a concentrarsi sul numero dei contagiati e non solo su quello dei malati che richiedono ospedalizzazione? La gravità dell’epidemia, giunti a questo punto, non dovrebbe misurarsi solo sulla base della capacità del sistema sanitario di curare chi ne ha bisogno? Quale indice di gravità possono rappresentare i contagiati che non necessitano di cure? Raggiunta la capacità massima del sistema sanitario di curare tutti quelli che giornalmente ne hanno necessità, non si dovrebbe entrare in una fase di gestione ordinaria del contagio?
3) L’epidemia non si è sviluppata con lo stesso ritmo e la stessa intensità all’interno di tutto il territorio nazionale. Per quale ragione, allora, anche i territori all’intero dei quali vi sono state poche decine di contagi giornalieri sono stati sottoposti allo stesso lockdown delle aree più colpite? Non avrebbe dovuto consentire l’azione del Governo il più facile e immediato isolamento dei pochi focolai delle regioni del sud, anche al fine di arrivare a una più rapida ripresa di tutte le attività produttive che permettesse, a sua volta, il supporto del prolungato lockdown al nord?
4 )Seguendo il ragionamento del punto precedente, perché il lockdown è stato disposto sulla base delle categorie produttive, in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, e non già sulla base delle condizioni dei singoli territori? Per fare un esempio: un tabacchino aperto all’interno di un area devastata dal contagio e dai morti, contribuisce con la medesima intensità all’aggravamento del rischio di diffusione del contagio di quanto possa fare lo stesso esercizio commerciale in un’area dove non si registrano da settimane contagi? Allo stesso modo, un’attività industriale che richiede la movimentazione di centinaia di persone all’interno di una più vasta area interessata gravemente dal contagio, è paragonabile, in termini di potenzialità di aggravamento della diffusione del rischio epidemiologico, alla medesima impresa esercitata in un territorio con poca decine di contagiati?
5) Da più di un mese sono rimaste operative ampie e importanti categorie produttive che all’interno dei loro stabilimenti industriali hanno visto la presenza di centinaia di operatori (settore alimentare, per esempio). Si può ragionevolmente pensare che l’attività di queste imprese si sia svolta con l’introduzione e/o il potenziamento di accorgimenti finalizzati a ridurre al minimo il rischio del contagio da coronavirus. E’ possibile misurare l’efficienza delle misure adottate in questi contesti perché si possano estendere a tutte le attività produttive e si possa passare da un regime di lockdown ad una stabile convivenza col virus?
6) Posto che le analisi sin qui svolte hanno permesso di individuare una precisa categorie di soggetti particolarmente vulnerabili al coronavirus (anziani e portatori di specifiche patologie), perché non si dispone il divieto di avere contatti solo con queste categorie di individui e le si protegge in qualche modo con isolamento adeguato e assistenza di ogni genere?
7) Partendo dall’assunto secondo il quale il distanziamento sociale dovrebbe servire a ridurre i contatti fra persone contagiate dal coronavirus e asintomatiche e individui che se esposti potrebbero correre seri pericoli di vita, qual è il motivo di impedire a un nucleo familiare che da un mese vive sotto lo stesso tetto, senza sintomo alcuno, di trasferirsi in blocco e senza la presenza di ulteriori individui presso una seconda e diversa abitazione di proprietà? In che modo il movimento di questo blocco omogeneo (composto da individui che da un mese sono senza sintomi) verso un’altra abitazione aggraverebbe il rischio di diffusione del virus, posto che l’acquisto di generei alimentari e lo svolgimento di tutte le ulteriori attività consentite avverrebbe con le medesime precauzioni di sempre (mascherine ove imposte, guanti, ingressi scaglionati, ecc)?
8) Se è vero che le misure di distanziamento sociale devono servire a scongiurare la molteplicità e la frequenza di contatti fra gli individui, per quale ragione si deve vietare la consegna a domicilio di cibo che rappresenta attività che non crea assembramento e che può essere svolta con l’adozione di tutte le misure di precauzione da parte degli operatori del settore? E perché le librerie dovrebbero rimanere aperte e i laboratori artigianali no, ad esempio, a parità di obbligo di adottare misture di precauzione (ingressi contingentati, mascherine, guanti, ecc.)?
9) Da più di un mese la libertà di milioni di individui è nelle mani delle decisioni del Governo e del Parlamento nazionali. Si tratta di una intensa e grave limitazione all’essenza stessa della nostra esistenza. Quando potremo rivendicare la restituzione di questo bene fondamentale? Quando il contagio si azzererà del tutto? Quando il contagio raggiungerà una certa soglia? Quando arriverà il vaccino? O, molto più semplicemente, quando deciderà arbitrariamente il potere politico che non si ritene oramai vincolato al rispetto di alcun limite predeterminato?
10) Quale sarà il limite di privazione, di difficoltà, di povertà, di indebitamento, di paralisi economica, di aggravamento delle condizioni psichiche per milioni d’individui, oltre il quale ci convinceremo ad accettare un minimo di rischio di contrarre e morire di coronavirus, allo stesso modo di come facciamo per la stragrande maggioranza delle attività umane che ci espongono a pericoli e pregiudizi?