Alla Diaz macelleria, non tortura
Siccome il punto è dei più delicati, vorrei ricordare di aver avuto specialmente a cuore la questione della tortura, della sua definizione e delle sue sanzioni: anche questo giornale ospitò ampiamente la mia opinione
Siccome il punto è dei più delicati, vorrei ricordare di aver avuto specialmente a cuore la questione della tortura, della sua definizione e delle sue sanzioni: anche questo giornale ospitò ampiamente la mia opinione. Lo ricordo perché ho l’impressione di un forte straniamento, dopo che è stata emessa la – benvenuta, benissimo venuta – sentenza sul ricorso del signor Arnaldo Cestaro. A Genova c’era stato uno scialo senza precedenti di tortura, metodica, prolungata, personalizzata, sessualmente connotata, da parte di agenti di varie polizie, medici e infermieri, nella caserma di Bolzaneto. Torture che valgono a offrire un’esemplificazione da manuale del reato che vergognosamente manca dal codice italiano. (E che il progetto giacente in parlamento tradisce scandalosamente). Nella scuola Diaz la “macelleria messicana” è molto difficilmente interpretabile come tortura, ciò che non ne attenua affatto la gravità. Non c’era bisogno del reato di tortura per punire adeguatamente i responsabili, lungo l’intera catena di comando e di esecuzione, di quella macelleria. Se la definizione di tortura fosse generalmente invocata come un’aggravante di crimini già orrendi, omicidi compresi, magari per sventare il ricorso alla prescrizione, il risultato sarebbe una banalizzazione della tortura stessa. Ho anche l’impressione che la sentenza del Cedu non autorizzi questa banalizzazione. Conto di tornare sul punto, e per ora osservo che l’apparente unanimità (a parte gli opposti sentimenti e pregiudizi) con cui si è accolta la sentenza, come se avesse stabilito che la macelleria della Diaz fosse stata tecnicamente una tortura, e che la sua sanzione mancata o inadeguata si dovesse all’assenza del reato di tortura nel nostro codice, è piuttosto sconcertante. A meno che, com’è possibile, sia io a fraintendere grossolanamente.