La sentenza taciuta sul caso Moro e l'omicidio Tobagi

Adriano Sofri
Lo scorso 8 maggio il tribunale di Milano (Corte d'Appello, seconda sezione civile) ha decretato che il giornalista Renzo Magosso, e il suo coautore, già capitano dei carabinieri Roberto Arlati, avevano detto la verità.

    Lo scorso 8 maggio il tribunale di Milano (Corte d'Appello, seconda sezione civile) ha decretato che il giornalista Renzo Magosso, e il suo coautore, già capitano dei carabinieri Roberto Arlati, avevano detto la verità in un libro dedicato alle carte di Moro ritrovate nell’appartamento di via Monte Nevoso a Milano (nel 1978 e poi nel 1990), oltre che all’omicidio di Walter Tobagi. La causa era stata mossa dalla sorella del generale dei carabinieri Bonaventura, che aveva ritenuto diffamata la memoria di suo fratello, nel 1978 colonnello dei carabinieri e stretto collaboratore di Dalla Chiesa, morto nel 2002, quando era a capo del Sismi. La sentenza dice fra l'altro: “L’appello proposto da Agata Bonaventura non è fondato. La parte del libro che tratta del ritrovamento delle ‘carte di Moro’ ha ad oggetto fatti realmente accaduti, dà conto di un episodio realmente accertato, consistente nell’asportazione del fascicolo dall’appartamento di via Monte Nevoso prima della numerazione dei fogli cui era composto, espone poi i ricordi, le impressioni ed i giudizi dei protagonisti della vicenda, il capitano Roberto Arlati, che vengono riportati in modo corretto, dando conto infine della diversa ricostruzione operata da Umberto Bonaventura quando ascoltato il 23.5.2000 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul Terrorismo e le Stragi”.

     

    E’ notevole che, se non m’inganno, della sentenza la stampa abbia taciuto (con l’eccezione del Fatto), tanto più in tempi di rianimate commissioni d’indagini sul cosiddetto caso Moro. Quello che la sentenza milanese sancisce era il segreto di Pulcinella. Ma l’unico aspetto residuo dell’indagine su sequestro e morte di Moro e dei suoi che abbia un rilievo, non per arrivare a nuove verità, ma per sgomberare tesi paranoiche e fanatiche, riguarda proprio quella originaria manipolazione delle carte trovate nel 1978, e il suo rapporto con il ritrovamento del 1990, in cui non una manina né una manona, ma la mano invisibile del caso svelò, agli occhi di chi volesse vedere, l’incuria fanatica di chi aveva condotto le indagini, e il sospetto reciproco che aveva invaso per anni, e non li ha ancora lasciati, gli attori principali della tragicommedia, persuasi, le guardie e i ladri, che le carte mancanti fossero nelle mani opposte, per essere giocate in qualche partita indicibile. Tragicommedia del sospetto e del complotto nella quale sono andati a nozze gli specialisti e gli studiosi. Ma di questo ad altra occasione.