Il "codista" dell'Expo
Avevo appena imparato dal Michele Serra di “Ognuno potrebbe” (un romanzo, direi, non un trattato di sociologia) che si può sbarcare il lunario catalogando le modalità di esultanza dei calciatori dopo il gol, ed ecco che un amico nel campo mi racconta il curriculum di un giovane dottore, che in calce a una striminzita lista di altri titoli aggiunge: “Codista all’Expo”. Ha fatto per sei mesi la coda per conto di visitatori paganti (poco) che grazie a lui se la sono risparmiata. Il giovane candidato non l’ha scritto per fare lo spiritoso, l’ha scritto sul serio. Lo prendo sul serio anch’io. Se fossi un cacciatore di teste lo convocherei e gli chiederei come ha riempito le ore di coda: vedendosela col telefonino, intervistando i vicini di coda per compilare un’indagine da presentare ai padroni dell’Expo o per scrivere un romanzo autobiografico, oppure pensando. I grandi pensieri vengono camminando, sia pure lentamente e in fila per uno. “Codista” esisteva già nel gergo politico, una specie di contrario di avanguardista. Starebbe bene su un biglietto da visita. Il ragazzo ha un futuro. Ora che mi ricordo, già verso la fine degli anni Settanta a Napoli c’era qualcuno che si era fatto stampare sul biglietto da visita: “Ex-Detenuto”. Aveva un passato.
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