Caro Giuliano, ho visto anche degli islamici non islamisti
Chioserò un’ennesima volta i pensieri di Giuliano F., nella ostinata missione di portarlo almeno una volta dalla parte mia.
Raccontai già che la persona al cui giudizio tenevo sopra ogni altro lodava di Giuliano che, qualunque enormità pensasse o simulasse di pensare, non si desse da fare per cambiarne la testa altrui. Io tuttavia resto meschinamente interessato a convincere gli altri, se non delle mie idee, almeno di un loro venti per cento. Nel caso dell’intervento di Giuliano, almeno del 33 per cento. Infatti non saprei obiettare alla sua obiezione al motto post-Bataclan: “Non avrete il mio odio”. Che è bello e insensato. Non perché occorra odiare quei ributtanti nemici, ma perché occorre impedir loro di nuocere in quella ributtante maniera.
A casa nostra, quando eravamo vivi e forti abbastanza da tenere con noi un pastore tedesco, prima di ripiegare sui bassottini sia pure a pelo ruvido, una targa sulla soglia avvertiva: “Cane gentile”, in luogo di “Cane mordace”. Ma alla seconda o terza incursione stragista l’avrei sostituita, mai eccedere in zelo.
Fui io del resto, se non ricordo male, a far osservare a ridosso dell’11 settembre che se la Scrittura insegna ad amare il proprio nemico, però dunque riconosce che abbiamo un nemico. Questo quanto al primo terzo del testo di Giuliano. Sull’ultimo terzo, l’abdicazione ai segni del modo di vita in cui “siamo nati e abbiamo vissuto”, concordo ancora più facilmente. In galera, scrivevo ogni anno un Racconto di Natale e lo leggevo in coda alla messa celebrata dall’arcivescovo Plotti, che ascoltava con cristiana pazienza, come i numerosi musulmani astanti, felici di partecipare a un incontro affettuoso e di scambiarsi segni di pace e porzioni di panettone. Ora mi mancano l’arcivescovo Plotti, la galera, i detenuti musulmani e il Natale, e non li darei certo via in cambio di qualche vile correttezza politica, per giunta cervellotica.
(Ho frequentato musulmani in varie parti del mondo, e non ho mai sentito rivendicare da loro cose come la soppressione dei Natali, che sembra piuttosto un tic di cristiani zelanti).
[**Video_box_2**]E’ il secondo punto di Giuliano quello di cui non mi capacito. E di analoghe provocazioni, chiamiamole così, come il rifiuto di distinguere fra islamico e islamista, distinzione per me essenziale, e non per ragioni di opportunità. Islamico è chi è nato in un peculiare contesto religioso e culturale, islamista chi fa dell’islam la bandiera di un assalto fanatico alla convivenza civile. Dire “terrorismo islamico” è riconoscere all’islam una necessità terroristica, mettere l’accento sull’islam piuttosto che sul terrorismo. Il contrario dire “terrorismo islamista”. Giuliano rivendica di aver riconosciuto in tempo l’“album di famiglia” comunista alle Brigate Rosse, lui che era militante e responsabile del Partito comunista, rifiutando formule come “le sedicenti…”. Ma se il brigatismo era comunista, il comunismo non era necessariamente brigatista, come la persona stessa di Giuliano certificava. E certificarono anche, da un momento in poi, le vittime comuniste del brigatismo. Tutto ciò è troppo evidente per essere ulteriormente argomentato. Denunciare l’ipocrisia, o la vera viltà, di chi vuole tacere il nesso fra l’invasamento religioso dei terroristi del jihad e toglier loro ogni aggettivo, è giusto e necessario. Così come constatare la renitenza impressionante di una grandissima parte delle autorità islamiche a collocare la loro dottrina dentro un contesto, come avvenne all’ebraismo e al cristianesimo alcuni secoli fa. Ma una grande maggioranza di musulmani sono alieni dalla violenza e dalla fanatica venerazione della morte, e in gran numero ne sono vittime. Tutto questo è naturalmente notissimo anche a Giuliano, e dunque forse io non ho capito bene che cosa intenda davvero e resterò di nuovo a tasche vuote.
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