Quella in corso in medio oriente è una partita di Shangai arrivata troppo oltre
Il segretario alla Difesa americano che aggiunge un’altra ammissione di fallimento – “Non abbiamo contenuto l’Isis” – e di colpa – “Abbiamo sottovalutato l’Isis” – fa pensare, più che a un impegno rincarato, alla desolazione di chi sieda fra le macerie senza sapere da quale frantume ricominciare. Però anche questa impressione è inadeguata. Il disastro multilaterale nel vicino oriente somiglia ormai a una partita di Shangai arrivata troppo oltre, quando toccare un qualunque bastoncino fa traballare tutto, e il bastoncino nero non si vede nemmeno più. Su quell’intrico di macerie si addensano le armi di mezzo mondo, e ne partono, altrettante schegge di un’esplosione, migranti disperati e attentatori invasati.
Questo sarebbe stato comunque l’effetto di un’inerzia prolungata di fronte alla crescita di una violenza impunita. L’Isis mirava più lucidamente a procurarsi seguaci e soggezione attraverso l’esibizione di una spietatezza efferata. Più che sul terreno del suo pseudo-stato, l’Isis non è stato contenuto nel richiamo internazionale alle reclute del fanatismo. I foreign fighters che aumentano invece che diminuire. Soprattutto dopo aver visto il Bangladesh, paese commovente come pochi, temo che la più grave delle minacce innumerevoli della furia jihadista lasciata crescere impunemente stia nella voglia di emulazione che innesca in comunità musulmane così vaste e relativamente miti. Infatti gli emuli del’'Isis non hanno bisogno di proporsi una qualunque “linea di massa”, una conquista di consenso al di là di frange di invasati. Basta loro fare strage per sconvolgere un paese gigantesco. E’ un incubo che ogni giorno che passa rende più possibile.
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