Nessun pericolo di collasso dell'impianto, dicono i tecnici della diga di Mosul

Adriano Sofri
Non si spiegano, dicono, l’allarmismo del rapporto americano. Devono averci riflettuto bene, dato che allarme e allarmismo sono vecchi di qualche mese, se non di anni, quanto alla fragilità originaria della struttura.

    Per non lasciar semplicemente cadere gli argomenti sui quali si accende un’attenzione drammatica e urgente e si spegne tre giorni dopo, registriamo che ieri funzionari e tecnici della famosa diga di Mosul hanno voluto dichiarare che non c’è alcun pericolo di collasso dell’impianto. Non si spiegano, dicono, l’allarmismo del rapporto americano. Devono averci riflettuto bene, dato che allarme e allarmismo sono vecchi di qualche mese, se non di anni, quanto alla fragilità originaria della struttura. Le dichiarazioni sono venute dal vice direttore della diga, Abdullah Taaqi: “Ho cominciato a lavorare qui che avevo vent’anni, ora ho i capelli bianchi e la diga sta esattamente come stava allora”. Per lui si tratta solo di un malinteso: la diga, capace di 1.100 megawatt, ha una produzione ridotta a 750 “per ragioni tecniche”, e l’acqua esce da un solo lato invece che da due. In realtà, l’allarme riguardava in particolare la primavera imminente e la piena stagionale del Tigri. L’ingegnere Jassm Mohammad, in servizio alla diga da 15 anni, ha detto che “il problema esiste dal primo giorno”, e che è di facile soluzione. Un terzo, l’ingegnere Kaim Amedi, ha garantito di sorvegliare la diga “notte e giorno”, e che non c’è alcuna minaccia di crollo. La stessa cosa dicono i funzionari iracheni della provincia: la contrarietà del governo iracheno al ventilato accordo con un’impresa italiana, e ancora più all’intervento di una ingente forza militare italiana a sua protezione – 450 uomini – è nota. Naufal Hamoudi, il governatore della provincia di Mosul, oggi in esilio nel Kurdistan di Erbil, ha parlato della necessità di semplici lavori di riparazione. Per noi spettatori profani, forti solo del ricordo del Vajont e della Val di Stava, è esclusa ogni valutazione competente. Fu però dato per concluso l’appalto dei (grossi) lavori alla ditta italiana dal nostro governo, e comunicato il conseguente invio del contingente militare. Bastò perfino a far inalberare qualche pacifista. Un pasticcio.