Come cambia la malavita a Roma
Pochi giorni fa c’è stato a Roma un incontro organizzato dall’università di Attac sul cambiamento della città, trasmesso da Radio Radicale. Sandro Portelli ha ricostruito e rivendicato, con la sapienza vivace che gli è propria, una storia di Roma di sinistra, popolare e artigiana più che proletaria, con una costante centralità dell’“abitare”, dal ruolo degli edili ai movimenti per la casa. Ha ricordato la canzone – sull’aria del Piave! – che fu l’inno di San Lorenzo nel 1921, e finiva fieramente: “Ma Roma è sempre stata bolscevica, / trionfa sempre, sì, falce martello e spiga”. Per me è stata un po’ una salutare lezione, un po’ una rianimazione della memoria: del resto sono stato romano a intermittenza. L’estate scorsa, in un soggiorno più lungo, mi aveva colpito la nostalgia delle persone più anziane per il bigliettaio su tram e autobus, una specie di lavoratore di fiducia, perfino per noi ragazzini che duellavamo con lui, incastrato nel suo banchetto, prima di scendere in corsa: per me era il 13, o il 28. Adesso fare il biglietto a Roma è un’impresa. Portelli ha ricordato come anche la malavita romana, i ladroni, avesse una tradizione di sinistra, e questo l’avevo sperimentato. Mi chiedo quando e perché è avvenuta la svolta che ha fatto di Roma, del suo popolino e della sua malavita altrettanti campioni di criminalità efferata e fascista. Me l’ero fatto spiegare per la Magliana, che era passata bruscamente da un movimento per la casa cresciuto fino a conoscere una solidale vita comune alla fama della Banda omonima. Peccato.
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