A quei bravissimi "amanti della pace"
Non so abbastanza dell’episodio bolognese di “contestazione” di Panebianco e della sua occasione, mi informerò. Probabilmente i giovani che l’hanno “contestato” sono bravissimi. La tragicommedia sta qui, in una temperie culturale grazie alla quale persone bravissime si impegnano con generosità a sostenere posizioni orrende. Non ricorderò di nuovo le mobilitazioni per impedire che gli aerei della Nato decollassero dall’Italia per metter fine all’assedio di Sarajevo o al mattatoio di Srebrenica, però ricorderò di nuovo lo slogan “No alle bombe” inalberato con piena e compiaciuta convinzione dai pacifisti italiani nel momento in cui finalmente gli aerei americani si levavano in volo per arginare l’avanzata dell’Isis sul monte Sinjar e impedire il completamento di sterminio e schiavizzazione di yazidi e cristiani. Bravissime persone – un tantino vanitose, certo. Quella roba là la chiamano avversione alla guerra: è una complicità attiva con un genocidio. Alle persone bravissime che pensano di amare la pace e pensano che gli altri amino la guerra bisogna chiedere che cosa farebbero, che cosa hanno fatto, quando il loro prossimo veniva sterminato all’ingrosso. Io sono un uomo all’antica, continuo a non scandalizzarmi per l’interruzione di una lezione universitaria. Di più: ho aspettato per cinque anni che dei ragazzi bravissimi interrompessero una lezione o qualsiasi altra solennità con uno striscione che ricordasse che in Siria stavano venendo trucidate persone lungo cinque anni, fino ad ammontare forse a 270 mila, forse a 450 mila, interessante dilemma accademico.
Il Foglio sportivo - in corpore sano