Il “Superclásico” e il Partito della Nazione
“Superclásico”: si chiama così lo scontro diretto fra River e Boca nel campionato argentino. La lingua di questo (meraviglioso) paese è maestra di enfasi. E di prestigio della letteratura, anche: una lapide “In memoriam” sulla chiesa di San Telmo recita: “A las victimas de la fiebre amarilla (la febbre gialla) del año 1871 y a los heroicos vecinos que combatieron los contornos dantescos de esa epidemia”. Nemmeno sui marmi di Firenze faremmo un uso così confidenziale dell’aggettivo “dantesco”. Bene, il Superclásico si è giocato domenica e io, che sono a Buenos Aires, ho imparato una cosa che voi probabilmente sapete, che in Argentina a tutte le partite di tutti i campionati è ammesso solo il pubblico di casa, per ragioni di ordine pubblico. Quando si gioca al Monumental, come l’altroieri, lo stadio è pieno, ma di soli tifosi del River, e viceversa quando si gioca alla Bombonera. Forse è un’eccezione argentina, forse è il futuro dell’intero calcio mondiale, a partire dall’italiano, dove le tifoserie interdette esistono già, alla stregua dei comuni commissariati per mafia. Fa comunque un’impressione strana, tanto più che evoca una specie di monopartitismo imperfetto. Come immaginare elezioni in cui si voti un partito per volta, delle primarie universali. Sì, lo so che anche i tifosi di uno stesso partito sono accanitamente divisi e potrebbero suonarsele di santa ragione. Il Pd è un esempio, il peronismo anche, e non a caso si è trovato l’alibi di chiamarsi movimento. Il Partito della Nazione è un calco della Partita della Nazionale, ma il campionato resta. C’è la tentazione di abolirlo, e del resto successe, in Italia, in Argentina e altrove. Intanto, il Superclásico River-Boca è finito 0-0.
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