Le malefatte di Putin
Nel libro che avevo qui commentato, Garry Kasparov scrive che di fatto Vladimir Putin è oggi “probabilmente” l’uomo più ricco del mondo. Chissà se i cittadini russi si sentano orgogliosi di questo ennesimo successo del loro capo. Del resto, vediamo. Ha tenuto in sella per anni un massacratore del proprio popolo come Bashar al Assad, mentre gli altri stavano a guardare. Quando il regime di Damasco vacillava minacciosamente, l’ha rimesso in sesto, e gli altri sono stati a guardare. L’hanno accusato, fondatamente, di fottersene dell’Isis e di mirare solo ai nemici di Bashar, finché ha forzato con i suoi raid la riconquista di Palmira, mettendo a tacere l’obiezione: la principale sconfitta dell’Isis, e la più simbolica, è cosa sua. Suo anche l’annuncio della restituzione di Palmira al suo splendore, a scanso di proteste contro la sua rozzezza. Gli altri, sempre più infilzati, avevano avvertito che il suo intervento in Siria l’avrebbe fatto sprofondare in un pantano senza via d’uscita, lo stesso dal quale loro si erano magnanimamente tenuti alla larga. E lui si è sbrigato a finire il pasto, asciugarsi i baffi, alzarsi da tavola e salutare.
Adesso, con calma, mentre digerisce, “probabilmente” Putin prepara la successione di Assad. “Probabilmente”, aveva decretato una corte britannica, Putin era a parte dell’omicidio di Litvinenko. Il Dipartimento di stato americano l’aveva dichiarato corrotto, senza far questioni di probabilità. Tutto ciò mette sui piedi il dibattito politologico sui pregi reciproci dell’autocrazia e della democrazia. Putin infatti non ha successo nonostante le sue malefatte, ma in virtù delle sue malefatte. E’ popolare. Come Trump. Dall’altra parte, le democrazie si sono abituate a pensare che le proprie sconfitte, e anche le proprie infamie, siano l’effetto della loro superiorità morale piuttosto che del suo tradimento.
Il Foglio sportivo - in corpore sano