Il mondo globale, tra passato e futuro
Sulla New York Review of Books c’è un saggio di Anthony Gottlieb intitolato: “Chi era David Hume?”, che prende spunto dalla “biografia intellettuale” di Hume di James A. Harris, e ricorda un ampio sondaggio internazionale del 2009 su chi fosse il pensatore del passato più importante per docenti e laureati in filosofia, in cui Hume si piazzò in testa, prima di Kant e Aristotele – e Socrate decimo. Mi fermo su questo passaggio (la traduzione è mia): “Hume tratta gli esseri umani come animali intelligenti le cui credenze sono per lo più fondate sulla ‘consuetudine’, nella forma di una propensione ad aspettarsi che il futuro assomigli al passato – una propensione, spiegava, essenziale per la condotta della vita, ma che non può trovare alcuna giustificazione indipendente”.
Non è una novità, anzi. Ed è anche una constatazione piuttosto intuitiva per ciascuno di noi. Ma lo è ancora? I vecchi fra noi hanno via via sperimentato una qualità della differenza fra passato e futuro che eccede qualunque apertura mentale e che li fa sentire “superati” senza paragone con quanto accadeva alle generazioni di antenati. Sicchè per loro – per molti di loro – è diventato pressoché naturale aspettarsi che il futuro sia così dissimile dal passato da dissociarli: il futuro essendo affare altrui e il passato affare proprio, ma così distanziato da svalutare anche il presente che resta. Quanto ai molto giovani, che non sono stati presi di sorpresa dalla travolgente differenza fra passato e futuro, è possibile che in loro subentri una propensione connaturata a un futuro che non assomigli al passato e che spezzi le consuetudini.
Il mondo globale esiste, ma non al punto di cancellare il divario fra resistenze del passato e rapidità del futuro. Immagino una universale migrazione alla rovescia, che già è in corso, appena mascherata da travestimenti varii: i pensionati europei benestanti e longevi che frequentano da turisti l’Africa e l’Asia, o i pensionati poveri che traslocano in Marocco, e credono di riconoscervi, travestito per andar loro incontro, il mondo della loro infanzia, gli asini, le donne docili e timorate, le case basse. Dall’altra parte i giovani arrivano, ansiosi di azzerare quel po’ di passato che gli pesa addosso. Succede così che i vecchi non si aspettino più che i giovani somiglino loro, e che ne consumino un separatismo: non avranno più nipoti, se non nei misteriosi figli d’altri. E che un riesacerbato separatismo allontani gli umani dagli altri animali, quando sembrava che li si riconoscesse simili – Hume lo fece già quasi tre secoli fa. Gli altri animali vanno molto più piano, sempre più piano. I vecchi somigliano agli altri animali, prima di estinguersi.
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