L'intesa tra le fazioni curde cambia la partita con Turchia e Iran
Annunciata da tempo, una rilevante svolta è avvenuta nel governo regionale curdo, il Kurdistan “iracheno”. Il quale è diviso fra una zona strettamente controllata dal Pdk, il Partito democratico curdo, e il Puk, l’Unione patriottica curda. A capo del primo è la famiglia dei Barzani, che con Massoud (1946) detiene dal 2005 la presidenza del Krg. A capo del secondo la famiglia dei Talabani, il cui patriarca, Jalal (1933), presidente dell’Iraq fino al 2014, ha dovuto ridurre drasticamente la propria attività pubblica dopo essere stato colpito da un ictus nel 2012. I Barzani sono radicati nelle province di Erbil-Hewler, la capitale, e di Dohuk. Il Puk nella provincia di Suleimanyah-Slemani. Il radicamento territoriale si traduce nel rispettivo legame con le potenze confinanti: la Turchia per il Pdk, l’Iran per il Puk. Da quando, nel 2014, l’avanzata dell’Isis ha messo saldamente in mano curda, e dei curdi del Puk, la grande città petrolifera di Kirkuk, il peso delle zone rispettive si è modificato, a vantaggio dei secondi. Intanto però nel Puk si era consumata, per iniziativa di un suo importante dirigente, Nawshirwan Mustafa (1944), una scissione: fondato nel 2006, il nuovo partito si chiamò Gorran, cioè Cambiamento.
Agitando soprattutto la bandiera del rinnovamento e della lotta alla corruzione, il nuovo partito suscitò dapprima le speranze degli intellettuali e dei giovani, ottenendo un grosso successo elettorale. Nel corso del tempo molte speranze andarono deluse e molti consensi rientrarono. Inoltre il potere reale, che in Kurdistan è sempre misurato dalla forza militare, dal controllo dei peshmerga, era rimasto in mano ai veterani del Puk. Sulla scala “nazionale”, i tre partiti si erano alleati nel governo comune, in cui tuttavia le rivalità antiche restavano a fior di pelle e a volte esplodevano. L’anno scorso il Gorran di Suleimanyah indirizzò il malcontento per una situazione sociale pesante verso l’attacco fisico alle sedi locali del Pdk, facendo dei morti. A Erbil il Pdk estromise dal governo i tre ministri del Gorran, e destituì il presidente del Parlamento, che da allora smise di funzionare. La crisi aveva una quantità di fronti: la controversia sulla protrazione della presidenza di Massoud Barzani; la difficoltà economica aggravata dal crollo del prezzo del petrolio, dai mancati pagamenti di Baghdad e dalla fuga degli investimenti stranieri a causa della guerra; e naturalmente la guerra con l’Isis. Alla fine di aprile il leader di Gorran, Nawshirwan, è rientrato da un lungo soggiorno all’estero, dovuto ufficialmente a ragioni di salute, per sottoscrivere col Puk un accordo, firmato martedì, che segna praticamente il ricongiungimento dei due tronconi, a partire dalla rappresentanza parlamentare. Dunque ora il Puk-Gorran conta in Parlamento su 42 eletti contro i 38 del Pdk (ci sono poi nel Parlamento altri gruppi minori).
Un effetto parallelo ne risulta sul Parlamento “nazionale” di Baghdad, dove peraltro i deputati curdi si guardano tuttora dal rientrare, dopo essersela vista così brutta di fronte all’invasione dei seguaci di Moqtada al Sadr, e dove la carneficina resta quotidiana. Le rivalità interne al Kurdistan “iracheno” sono aspre, e hanno alle spalle una sanguinosa e vergognosa guerra fratricida (1994-’97). Nello stesso Puk, che ha da sempre una connotazione meno dinastica e più ideologica – “di sinistra”, diciamo – una evidente rivalità politica e caratteriale oppone la dirigenza più legata alla famiglia Talabani, e alla sua leggendaria moglie, Hero, a quella che si riconosce nell’altrettanto leggendario Kosrat Rasul Ali (1952). Il nuovo sviluppo è destinato a pesare sulle partite che si giocano tra i curdi e i loro vicini. La crisi economica e la violenza della guerra rinfocolata tra Turchia e Pkk, anche nel territorio del Krg, non giocano a favore della fazione pro turca. Agisce all’opposto l’accordo con l’Iran, ed è più che un progetto la costruzione di una pipeline fra Kurdistan e Iran, che sostituirà lo strampalato contrabbando di petrolio che oggi si compie su strada e raddoppierà la pipeline esistente con la Turchia. I legami rispettivi con gli ingombranti vicini (ciascuno dei quali detesta i propri curdi interni…) sono dovuti più alla geografia, alle armi e agli affari che all’ideologia. Lo stesso Puk deve preoccuparsi di avere addosso le avide bande paramilitari sciite di obbedienza iraniana, a Kirkuk. Ma non è detto che la svolta segnata dall’accordo fra Puk e Gorran non sappia tradursi in un ragionevolissimo – con l’Isis alle porte – rilancio di un patto “strategico” fra le fazioni, che hanno davvero a portata di mano l’indipendenza, più o meno addolcita da una cornice “confederale”. E poi c’è Mosul. C’è da sperarlo.
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