La morte “ritardata” di Al Shishani e l'intesa tra curdi e Usa che non piace a Baghdad
Omar Al Shishani è morto “da martire”, secondo l’agenzia ufficiosa dell’Isis, Amac. Il più importante comandante militare del sedicente Stato islamico era stato dato per morto più volte, la penultima nello scorso marzo, in un colpo aereo americano nel territorio siriano di Raqqa. L’Osservatorio siriano per i diritti umani aveva allora confermato, citando la testimonianza diretta di un medico dell’ospedale in cui Al Shishani era stato ricoverato. Dunque c’è stata una messinscena del Califfato per ritardare la notizia? Probabilmente è successo davvero così. Il ritardo può esser servito a riorganizzare le fila delle sue truppe, e a far morire più propriamente “il Ceceno” (sul quale pendeva una taglia americana di 5 milioni di dollari) sul campo di battaglia.
La battaglia è quella che infuria da tre settimane ad al-Shirqat, una cittadina all’estremo nord della provincia di Salahaddin, sulla sponda occidentale del Tigri, un centinaio di km a sud di Mosul. Al-Shirqat, conquistata dall’Isis nell’avanzata del giugno 2014, è una importante base dell’Isis sulla direttrice sud-nord verso Mosul, e in particolare verso Qayara, centro petrolifero e base aerea 30 km più a nord, nella quale si combatte ora casa per casa tra le forze speciali irachene e l’Isis, che ha distrutto il ponte di accesso e incendiato i pozzi per ostacolare i raid aerei. Una volta restaurato l’aereoporto militare, Qayara farà da base ai 560 militari americani di nuova destinazione e faciliterà l’uso degli elicotteri d’attacco iracheni.
La battaglia per Shirqat è durata quasi un mese, durante il quale alcune migliaia di persone hanno evacuato la città alla volta di improvvisati campi attorno a Tikrit. La stessa avanzata coinvolge la città di Hawijia. Hawijia, nel governatorato di Niniveh, è tenuta dall’Isis e da tribù arabe locali sue affiliate, che vengono date in ritirata mentre le forze speciali irachene e i peshmerga di Kirkuk avrebbero circondato la città. Al Shishani, di cui si era riferita la presenza anche nella difesa di Fallujah, sarebbe dunque morto combattendo sul fronte per tutti decisivo della battaglia per Mosul. E’ estate piena, ieri a Mosul c’erano 44 gradi, 46 a Tikrit.
Mercoledì è stato firmato a Erbil un “Memorandum di intesa” per la collaborazione militare fra Kurdistan e Stati Uniti, collegato ai 415 milioni di dollari stanziati dagli Usa per le forze combattenti dei peshmerga impegnate a sostenere la riconquista di Mosul. La firma ha sollevato la protesta di Baghdad, che si è sentita scavalcata dall’accordo diretto, un ulteriore riconoscimento di fatto del Krg, il Governo Regionale Curdo. Il quale vede nel proprio futuro una piena indipendenza, attraverso il referendum patrocinato dal presidente Barzani e dal suo Pdk, o un legame “confederale” con l’Iraq, cui pensa piuttosto il Puk di Talabani e dei suoi.
Intanto, a complicare la situazione, il Kdp curdo iraniano ha ufficialmente dichiarato la fine della tregua decisa da un ventennio e la ripresa della lotta armata contro Teheran. Negli ultimi tempi gli scontri nel Kurdistan iraniano si erano moltiplicati facendo numerosi morti dall’una e dall’altra parte. Poiché anche i combattenti curdi-iraniani hanno la loro base sul versante curdo-iracheno delle montagne, si riproduce, su una scala finora incomparabilmente minore, ma esattamente simmetrica, la condizione del conflitto fra Turchia e Pkk. Il Krg si trova con una parte del proprio territorio oggetto di bombardamenti aerei turchi e iraniani: non potranno che derivarne guai maggiori per tutti.
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