L'attentato a Kerbala e i libri utili
Più di cento fedeli sciiti, in maggioranza afghani residenti in Iran, sono stati uccisi mentre erano di ritorno dal pellegrinaggio alla città santa
L’attentato più micidiale dell’Isis, dopo quello che nel luglio scorso uccise più di 300 persone in un mercato di Baghdad, ha ammazzato l’altroieri più di cento fedeli sciiti, in maggioranza afghani residenti in Iran, di ritorno dal pellegrinaggio alla città santa di Kerbala. Kerbala (o Karbala o Kerbela…) è oggi una grande città, sul luogo in cui nel 680 d.C. il nipote di Maometto e terzo imam sciita, Husayn, venne ucciso e decapitato con i suoi 72 compagni dalle forze soverchianti del califfo omayade Mu’awiya. Husayn, che vi è sepolto, divide con Ali, cugino e genero di Maometto, e primo imam, la massima venerazione dei musulmani sciiti. Nei suoi confronti la devozione è specialmente commossa per il modo della morte eroica nella sete del deserto, che la fa assomigliare alla passione cristiana e fa raffigurare Husayn a un giovane Cristo, benché fosse allora di 58 anni. Io ne fui commosso quando – tardi, al tempo del mio viaggio nell’Iran della rivoluzione khomeinista – ascoltai il racconto di Husayn che mostrava ai suoi compagni assetati e agonizzanti le dita aperte, perché attraverso esse vedessero il mare.
L’attentato è avvenuto nel giorno di Arba’in, in cui si concludono i 40 giorni di lutto, l’Ashura, che commemorano ogni anno il sacrificio di Husayn. L’attentato conferma la strategia dell’Isis tesa a provocare una vera guerra civile in Iraq, paese diviso fra una maggioranza sciita, al potere dopo la caduta del sunnita Saddam Hussein e una sunnita, che ha in Mosul la sua capitale. E conferma prima ancora l’odio spietato che oppone l’estremismo sunnita e sciita, e l’inimicizia di fanatismo e di potenza fra gli stati, in particolare l’Iran contro l’Arabia Saudita, che si traduce in guerre guerreggiate dalla Siria allo Yemen all’Iraq.
Non è facile, nonostante l’incalzare di una violenza che arriva fin in casa nostra, imparare abbastanza della storia, della cultura e delle mentalità del mondo islamico, di cui fino a poco fa la nostra media istruzione ignorava pressoché tutto, e favoriva dunque i più vieti pregiudizi. Einaudi ha appena pubblicato il libro che una studiosa britannica, Carole Hillenbrand, ha dedicato alla formazione di persone mediamente ignoranti e colte del resto, come dei giovani universitari, sull’Islam (“Islam. Una nuova introduzione storica”, 403 pp. riccamente illustrate, 34 euro). Il libro è molto utile. Qua e là la preoccupazione di dissipare i pregiudizi induce, mi pare, l’autrice a un eccesso di zelo, giustificato peraltro dal proposito dichiarato di mostrare come la fede islamica sia sentita e praticata dai suoi adepti – un miliardo e mezzo di persone nel nostro mondo. Un tempo si diceva che esistessero altrettanti islam quanti erano i musulmani.
Oggi è difficile ripeterlo, perché l’offensiva islamista ha comunque ottenuto di ispirare o forzare comportamenti assai più conformisti. Un cittadino medio occidentale (che non sia musulmano di origine o convertito) ne sa più o meno quanto il presidente Bush junior, il quale poco prima dell’invasione dell’Iraq chiedeva ai suoi consiglieri che cosa volesse dire sunniti e sciiti. Dio sa che cosa ne abbia sentito dire Trump. Infine, esistono libri italiani efficaci, e consiglierei almeno la storia del medio oriente di Marcella Emiliani, che ha avuto varie edizioni.