Di quanta terra ha bisogno un uomo?
Torno sul racconto di viaggio in Caucaso di Knut Hamsun
Allora torno sul racconto di viaggio in Caucaso (1899) di Knut Hamsun, di cui ho scritto ieri a proposito di orologiai. Hamsun è quarantenne, ha pubblicato “Fame” già nel 1890, e in traduzione tedesca l’anno dopo, con un successo travolgente. Tolstoj è più vecchio di lui di 31 anni, ha pubblicato Guerra e pace nel 1869, se ne è già pentito, più o meno, e ha pubblicato la sua “Confessione” nel 1882. E’ vivo, naturalmente: morirà nel 1910. Ha partecipato alla guerra del Caucaso, vi ha ambientato e vi ambienterà alcuni dei suoi scritti più belli. Il 1899 è l’anno di “Resurrezione”. La “rigenerazione morale” dell’autore è già celebre, anche se l’episodio più clamoroso, la scomunica del Santo Sinodo e la sua ribellione, verrà nel 1901. Ed è accanita la controversia sul movimento religioso che da Tolstoj prende il nome.
Trovo che già in un testo del 1875 il critico Michajlovskij scriveva: “Riguardo al conte Tolstoj si sentono dire continuamente due cose: che è un narratore di straordinaria qualità e un pensatore mediocre. Questo è diventato quasi un assioma che non ha bisogno di dimostrazione”. Hamsun introduce il suo excursus sulla letteratura russa arrivando nella capitale georgiana, Tiflis, e ricordando poeti e scrittori passati da là: Pushkin, Lermontov, Tolstoj. E cita Turgeniev che, morendo, “scrisse una lettera commovente a Tolstoj, implorandolo di tornare alla sua rettitudine e di coltivare ancora la letteratura”. Hamsun continua: “Non posso vincere il sospetto che, nella vita del grande poeta che è Tolstoj, si sia insinuato qualcosa di falso, di rozzamente artificioso”. Comprensibile, all’inizio, dice: per un uomo così robusto, esaurite tutte le gioie mondane, precipitare nel bigottismo religioso. Qualcosa del genere era successo anche a Ibsen. Si comincia quasi per gioco, poi si finisce imprigionati nel ruolo. E’ come starsene dritti su una gamba sola, per posa; “la postura naturale è stare sulle due gambe, senza tante smorfie”.
Che Tolstoj non abbia voglia di scrivere altre Guerra e pace, altre Anna Karenina, per far contenti lettori come Turgueniev, si capisce, secondo Hamsun: “Quello che mi spiace è il tentativo vano di fare della filosofia, del pensiero. Lui e Ibsen stanno su una gamba, con la pretesa di essere quello che non sono”. Sono dei meditativi, non dei pensatori. “La filosofia di Tolstoj è un misto di vecchie ovvietà e di idee singolamente difettose, di sua invenzione”. E’ colpa degli anni ’70 /1870/, e della mutazione che suscitarono nei poeti: erano stati cantori, donatori di sensazioni, di racconti, ed ecco che, presi dallo spirito del tempo, diventarono lavoratori, educatori, riformatori. I poeti diventarono personaggi con un’opinione su qualunque cosa, direttori spirituali dei popoli, quelli che sapevano tutto e insegnavano tutto. Anche Tolstoj. “Qualche anno fa, ha proclamato la sua celebre dottrina sull’ascetismo, l’astinenza sessuale assoluta. Quando gli si obiettava che la terra si sarebbe spopolata, il pensatore rispondeva: ‘Perfetto, è proprio la mia idea, deve spopolarsi!...”. Hamsun sceglie un esempio: “Un breve racconto di Tolstoj si intitola: ‘Di quanta terra ha bisogno un uomo?’. E’ la storia di un contadino, Pacomio…”. Che non fa che comprare terre sempre più vaste, finché il suo cameriere lo trova morto disteso in terra nel suo campo. Il domestico si mette a scavargli la tomba, una fossa lunga due metri. “Ecco, ci dice il pensatore, è esattamente quello che serve a un uomo: due metri di terra per la sua fossa”. Ma sarebbe più esatto, obietta Hamsun, “dire che due metri di terra non bastano affatto a un uomo: ma sono esattamente quello che basta a un cadavere… Così possiamo restituire al pensatore i suoi due metri”. E la mia opinione, conclude Hamsun, “è che raramente si può vedere una povertà filosofica più povera di quella delle dissertazioni tolstoiane”.
Interessante. Hamsun, quarant’anni dopo, poco meno che ottuagenario, dichiarò la sua simpatia per il nazismo. Era poco meno che novantenne quando, a guerra finita, venne internato e processato in Norvegia. Per salvarlo dalla condanna per alto tradimento, venne dichiarato seminfermo di mente. Scrisse allora un testo poetico intitolato “I sentieri sui quali è ricresciuta l’erba” (Paa gjiengrodde Stier).