Il colpo dell'Isis in Iran e i paradossi mediorientali
Il ruolo delle grandi potenze nella guerra generalizzata del medio oriente
L’Isis alla vigilia del tracollo territoriale è riuscito nel più impegnativo dei suoi attentati: un’operazione militare che ha colpito i due luoghi cruciali della teodemocrazia iraniana: il Majlis e il mausoleo di Khomeini. Niente a che vedere coi lupi solitari che, caso mai, seguiranno. L’Isis poteva dunque contare su militanti, uomini e donne, capaci di un’operazione preparata da lontano nel cuore di Teheran. Se abbia potuto anche decidere il momento dell’esecuzione è difficile immaginare. E’ un fatto che non avrebbe potuto esserci momento più efficace. Esso ha fatto apparire l’Isis, almeno agli occhi di una gran parte degli iraniani e dell’universo sciita, come un braccio armato della fortunosa coalizione americano-sunnita, all’indomani del bando decretato da quest’ultima nei confronti del Qatar accusato di complicità con l’Isis.
Nella dismisura dei paradossi mediorientali la cosa più certa è che lì si sono accumulate tutte le condizioni di una guerra generalizzata che somiglia molto alla situazione dell’Europa delle guerre balcaniche e poi della prima guerra che abbiamo chiamato mondiale. La differenza sta nel ruolo di grandi potenze che ancora oscillano fra l’intervento diretto, quello interposto o, come la Cina, lo stare a guardare. La guerra per delega ha sempre più ceduto il passo all’intervento diretto di americani e russi. L’avvento di Trump ha proclamato la possibilità di una guerra contro l’Iran che prima covava sotto molto fuoco e molta cenere. Oggi non c’è un pezzo di medio oriente in cui i pretendenti non abbiano preso posizione, e per lo più non abbiano già inaugurato il parapiglia. Quanto ai burattinai, o piuttosto agli apprendisti burattinai, hanno ancora pochi pezzi di scacchiera sui quali schierarsi pro o contro, e spesso sono i fatti compiuti dalle pedine locali a decidere per loro. Bastarono dei telegrammi leggermente aggiustati a far scoppiare le guerre, figuriamoci che cosa può fare un tweet che vanta di aver stretto d’assedio una penisoletta manovriera in cui sono acquartierati 11 mila militari americani.