Quei ragazzi così felici di uccidere al punto di morire
I ragazzi che si suicidano immaginano il vuoto che lasceranno fra chi resta. Questi immaginano il pieno che troveranno. E' così a Raqqa, come a Mosul e a Londra
Coi pensieri a Raqqa, a Mosul, a Londra, ho letto questo passo, dalla Biblioteca di Babele di Borges: “Lo scrivere metodico mi distrae dalla presente condizione degli uomini, cui la certezza di ciò, che tutto sta scritto, annienta o istupidisce. So di distretti in cui i giovani si prosternano dinanzi ai libri e ne baciano con barbarie le pagine, ma non sanno decifrare una sola lettera”. Tanti anni fa, quando affiorarono questi devoti assassini-suicidi, non esitai ad afferrare l’enormità del cambio nell’idea di umanità che annunciavano. Vanamente, per consolarsene, si trovavano loro termini di paragone, i cosiddetti kamikaze, Pietro Micca… Era un’altra cosa, è un’altra cosa. Non bisognava fermarsi là, bisognava chiedersi se prevalesse in loro l’omicidio o il suicidio. Il gusto di ammazzare – chiunque, ragazzi di discoteca israeliana, ragazze di concerto di Manchester, di preferenza – o la voluttà di ammazzarsi.
Giovani, ansiosi di mostrare non di disprezzare la morte o di esser pronti alla morte, come nelle nostre medaglie al valore e nei nostri inni, ma di desiderarla, di andarle euforicamente incontro, disprezzando il disgusto per la morte e l’attaccamento alla vita di noi mondo vecchio, di noi vecchi. I ragazzi che si suicidano immaginano il vuoto che lasceranno fra chi resta. Questi immaginano il pieno che troveranno. Non sono disertori, sono predecessori. E’ difficile venire a capo di umani disposti a morire pur di uccidere. Più difficile venire a capo di umani felici di uccidere pur di morire. Non so se si possa restituire loro un gusto della vita. In molti luoghi, in molte circostanze, si può solo toglier loro la gloria della morte, castigarli di una morte ingloriosa.