La guerra in Kurdistan si sta avvicinando a Erbil
Prima prova di resistenza strenua per il Pdk di Barzani, dopo la caduta di Kirkuk
Erbil, Venerdì, il giorno di festa. Sulle notizie di ieri – scontri militari, uccisioni e violenze, fughe di famiglie civili – prevale la sensazione, che si è insinuata per la prima volta nella gente e presto è diventata pubblica, per essere ufficialmente smentita (cioè, per la gente, pressoché confermata) che esercito iracheno e milizie sciite Hashd al Shaabi vogliano procedere fino a occupare la capitale Erbil e l’intero resto del Kurdistan “di prima del 2003”. Di mattina c’era stato un forte scambio di razzi e artiglieria fra Shaabi e peshmerga curdi del Pdk nelle vicinanze di Prde. Prde (Altun Kupri, “il Ponte d’Oro”) sta a metà strada fra Erbil e Kirkuk, a 45 chilometri da quest’ultima, ma amministrativamente già nel distretto di Kirkuk. I peshmerga si sono ritirati dichiarando di aver distrutto una decina di veicoli Shaabi, compreso un carro Abrams di ultima generazione: il regalo prezioso degli Stati Uniti all’esercito regolare iracheno per la guerra all’Isis e subito passato ai ranghi Ashd al Shaabi, che lo sfoggiano per la loro operazione “di polizia” in Kurdistan.
A Khurmathu le case curde incendiate sono 150, e 15 fatte esplodere, come conferma un rapporto Onu. Un’imbarazzata portavoce del Dipartimento di stato ha invitato le parti a comportarsi bene, ha ripetuto che l’invasione del Kurdistan era preordinata e concordata fra le parti (che per una fazione del Puk di Suleymanyah e Kirkuk è vero, ma con accordi tenuti segreti, che è la ragione per cui viene esecrata come traditrice e venduta) e, mirabile a udirsi, che l’Iran non vi ha avuto parte. Era stato poco prima il capo della Cia a dire il contrario. La presidenza Trump ha tuonato terribilmente contro l’Iran e all’indomani gli ha dato via libera alla conquista di fatto del principale alleato americano nella zona e nella guerra all’Isis. Dettagli. L’intervento aereo americano, di quell’Obama famoso per la sua renitenza, era venuto nel 2014 proprio quando l’Isis avanzando senza ostacoli era arrivato alle porte di Erbil. I cittadini curdi di Prde, dove sono rimasti solo i turcmeni, sono fuggiti ieri a Erbil. Nella notte a Kirkuk le milizie Shaabi, che conducono una loro caccia all’uomo, avevano tirato fuori dalla sua casa e ucciso un pensionato arabo sunnita che a suo tempo era stato pilota nell’aviazione di Saddam. Giovani manifestanti nel quartiere curdo di Shorija a Kirkuk avevano dato fuoco a tre Humvee. Il passaggio dalle manifestazioni alla guerriglia cittadina è abbastanza inevitabile in una situazione simile.
Mi chiedo anche se su giovani curdi che si sentono umiliati e traditi non possa aver presa, nonostante la relativa laicità, quel trapasso dalla radicalità politico-patriottica all’islamismo che altrove ha fatto tanto discutere gli islamologi. Tanto, e spesso inutilmente: dal momento che in alcune circostanze, come in Tunisia, era la repressione e la frustrazione della radicalità politica a scivolare nella radicalizzazione jihadista, che altrove era stata all’origine. Così sarebbe qui, ipotesi agghiacciante. Nel tardo pomeriggio di ieri la battaglia di armi pesanti nella campagna all’altezza di Prde è ripresa: il Pdk sta impegnando su quel fronte il fiore dei suoi peshmerga e delle sue armi, contro le forze Shaabi che nella loro avanzata disobbediscono allo stesso primo ministro Abadi, facendo immaginare un’autorizzazione iraniana. Avrebbero perso molti uomini. A sera le autorità curde denunciano che gli Shaabi sono affiancati dall’artiglieria iraniana dei pasdaran. Per il Pdk di Barzani è la prima prova di resistenza strenua, dopo che alla caduta di Kirkuk a sud aveva fatto seguito, senza colpo ferire, la consegna agli iracheni degli altri territori, Sinjar, la diga di Mosul, e Gwer e Makhmour, che sono ancora più vicine a Erbil.