Com'è la Taranto che lascia Alessandro Leogrande
Lo scrittore, giornalista, intellettuale militante aveva 40 anni e se ne è andato oggi. Proprio nel giorno in cui arriva un'altra notizia dalla città pugliese
C’erano due notizie ieri, vicine, sui giornali in linea. Riguardavano Taranto, città che è stata per intervalli anche mia. La prima era usuale – normale, direste: le scuole chiuse per due giorni perché il vento soffiava dalla parte sbagliata e portava sui Tamburi le polveri micidiali dell’Ilva. Si chiudono le scuole, infatti, mica l’Ilva. Pensate solo a quanto tempo soldi e fatica occorrono a spegnere e accendere un altoforno. Gli scolari invece si accendono e spengono con una circolare. Si sbriga anche la città, come scrisse Alessandro Leogrande: “Apparentemente apatica, Taranto è una città che sa accendersi per poco”. La seconda notizia lasciava sbigottiti perché era del tutto inattesa. Annunciava la morte improvvisa di Alessandro Leogrande, scrittore, giornalista, intellettuale militante tarantino che aveva 40 anni e li aveva impiegati a star dietro a questioni come l’Ilva, il caporalato, i migranti, il mare dei naufraghi e degli annegati. Si pensa a quanto avrebbe ancora fatto. Poi si guarda bene e si pensa a quanto aveva già fatto. Ho letto l’elenco dei suoi interventi per “Minima&moralia” e ho trovato questo suo brano: “Benché viva lontano da Taranto ormai da vent’anni, torno spesso in città. Ci torno per lavoro, ci torno per trovare i miei genitori che vivono ancora qui. A Taranto ho dedicato due libri e una infinità di articoli, specie dopo l’esplosione del bubbone Ilva nell’estate del 2012. A Taranto (cosa che tutti i miei amici considerano assurda, e quelli più stretti l’indizio di qualche profondo trauma psicologico) ho ancora la residenza”.