Il carcere di San Vittore (foto LaPresse)

Sulle carceri è sceso il gelo

Adriano Sofri

Era scontato che la riforma venisse affossata. E niente è più avvilente della puntualità delle cose scontate e miserabili

Poche cose sono avvilenti come le meschinità scontate. C’era un progetto riguardante la galera, che ne adeguasse ragionevolmente alcuni degli aspetti più vessatori e più superati, dal momento che l’ultima riforma carceraria risale al 1975. Appena ragionevolmente, appena alcuni aspetti. Vi si erano impegnati a lungo un ministro della giustizia, una vasta rete di “esperti”, un concorso di opinioni di giuristi, magistrati, intellettuali, una prolissa discussione parlamentare, oltre che, “naturalmente”, vien da dire, militanti radicali, riconosciuti esemplarmente nella tenacia di Rita Bernardini e nella memoria di Marco Pannella, e migliaia di detenuti. Di questi ultimi si dirà che ovviamente siano in favore di misure che rendano meno oppressiva la loro esistenza e socchiudano qualche spiraglio alla speranza, ma non è solo così.

 

Questo impegno collettivo e nonviolento, che da anni anima le galere e ha sostituito largamente le rivolte improvvise e gli autolesionismi disperati, è una principalissima forma di quella conversione personale e sociale che la Costituzione assegna al carcere e il carcere frustra sistematicamente. Bene: quel progetto è stato probabilmente affossato giovedì. Ci sono le elezioni. C’è un fremente arrembaggio che riguarda ormai allo stesso modo candidati alla politica parlamentare e dei partiti, candidati alla politica della magistratura e delle sue elezioni corporative, autoeletti azionisti di un giornalismo portavoce e parassita insieme delle carriere partitiche e giudiziarie. L’ho detto: era scontato che la riforma dell’ordinamento penitenziario sarebbe stata affossata. E niente è più avvilente della puntualità delle cose scontate e miserabili. Non viene nemmeno voglia di distribuire responsabilità e colpe. C’era un copione, prevedeva anche un finale dal fiato sospeso prima del sipario calato a mozzare le speranze. Quando scrivo fiato sospeso lo immagino sulle brande delle celle, nel fumo del respiro all’ora d’aria invernale. Sta arrivando il gelo del Burian. Annunciato, scontato. Le teste tornino a seppellirsi sotto le coperte d’ordinanza.

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