Il settimo giorno permanente
Più che stare all'opposizione, il Pd e la sinistra devono farla, l'opposizione. In fondo anche il creatore si riposò
Io sono convinto che il Pd, e non solo il Pd ma tutta quella frivola costellazione di associazioni e sigle “di sinistra” che gli sta a lato o a fianco, sopra o sotto, dentro o contro, debbano fare l’opposizione. Ne sono convinto anche nel caso che in parlamento scelgano di astenersi per permettere un governo piuttosto che un altro, uno meno peggiore piuttosto che uno molto peggiore, e perfino uno che prometta in cambio di fare una o due cose buone.
La differenza fra quello di cui io sono convinto e le frasi da sentinelle di niente che parecchi esponenti parlamentari del Pd e della scia alchemica menzionata ripetono si riassume in un verbo: “stare all’opposizione”. Ho scritto qui sopra “fare l’opposizione”. Stare è appunto un verbo di stato in luogo: che si stia in parlamento o sull’Aventino o su un altro dei sette colli, l’opposizione seduce costoro come una sala d’attesa, una stazione dismessa, una panchina ai giardinetti di fronte al colle più alto. La domanda è: che cosa fa l’opposizione? Nemmeno tanto che cosa fa in parlamento, quanto che cosa fa nel resto del mondo – parlamentari compresi. Quella domanda valeva altrettanto quando Pd e strascico erano al governo, e averla ignorata, essersi disabituati a farsela, è stata la causa della rovina. Una sinistra, cioè le persone di sinistra, che non facciano le cose e che non traggano dalle cose che fanno – la “pratica sociale”, si chiamava – la propria esperienza e conoscenza del mondo, è fatta apposta per “stare”. “Hier stehe Ich, Ich kann nicht anders”, disse (forse) Martin Lutero: qui sto, non posso fare altro, ma aveva già fatto tutto. Anche il creatore si riposò il settimo giorno. Fare del Pd, e della sinistra, un partito, o una costellazione (un guazzabuglio) del Settimo Giorno permanente, ecco un ideale da basso impero.