Passa dalle lumache di mare la strada per l'Arca di Noè della memoria
Trasferimento di mente e destino dell’umanità
La notizia mi avrebbe colpito comunque, credo, ma mi ha fatto un’impressione più forte perché avevo appena letto (in ritardo, sulla scia del Salone del Libro) il forte romanzo di Maylis de Kerangal, “Riparare i viventi”, 2014, tradotto in italiano da Maria Baiocchi con Alessia Piovanello per Feltrinelli. Voi che l’avrete letto tempestivamente sapete che vi si tratta delle creature umane alla prova del trapianto d’organi donati da morti a vivi. La notizia dice che un’équipe di biologi della Ucla ha trasferito l’RNA, l’acido ribonucleico, di alcune lumache di mare (aplysia) “sottoposte ad addestramento” ad altri esemplari delle stesse lumache di mare non “addestrate”. In sostanza, le prime lumache venivano sensibilizzate a una scossa elettrica così che la loro contrazione difensiva durava un tempo 50 volte più lungo di quella delle lumache che non erano state allenate. Dopo il trasferimento dell’RNA le lumache non addestrate reagivano con una durata pressoché equivalente a quella delle addestrate.
La notizia, ridotta al titolo per profani, dichiara che è possibile il trapianto di memoria da un individuo vivente a un altro. Le lumache di mare, si avverte, hanno un sistema nervoso composto di 20 mila cellule contro i 100 miliardi di cellule dell’animale umano; tuttavia, secondo gli scienziati, sono un campione affidabile per l’affinità con la biologia umana. Si capisce la portata della cosa. Il trapianto stabilisce una connessione, una continuità drammatica, evidente e insieme misteriosa, fra persone diverse, spesso prive di qualunque legame che non sia stato istituito dal caso: un incidente mortale dell’uno che si traduce nel trasferimento di un organo all’altro che lo aspetta per sopravvivere e che forse non saprà mai da chi gli sia venuto.
Dopo il cuore (1967, Città del Capo, il prelievo fu il capolavoro del chirurgo Hamilton Naki, misconosciuto perché era un nero, come il donatore morto, nel Sudafrica dell’apartheid) e gli altri organi, la chirurgia dei trapianti ha immaginato e a volte spettacolarmente e cinicamente sperimentato sostituzioni non solo di organi ma di intere parti del corpo, la testa, per esempio, eccitando l’antica domanda su quale parte costituisca l’essenza della vita e dell’individualità del vivente. Ha immaginato con la clonazione di duplicare o moltiplicare una stessa vita individuale, fino al “trasferimento di mente”. La mia memoria trasferita nel corpo di un altro appare come l’ultimo traguardo, dal momento che a fare l’individualità, la cosiddetta identità di ciascuno, è la memoria.
I commenti alla notizia californiana alludono alla futura possibilità di ripristinare negli umani la memoria perduta per una malattia o per un trauma e altre meraviglie. Ma oltre il “reimpianto” della memoria nel suo titolare sono l’espianto e il trapianto della memoria fra estranei a sconvolgere l’immaginazione. L’ipotesi del trasferimento della memoria porta inoltre con sé quella del furto della memoria, qualcosa che già oggi ci suona domestico e vicino. Basta che ci abbiano rubato il computer personale, che abbiamo perduto il telefonino: lì dentro c’è una parte ingente della nostra memoria, quella che fingiamo di tutelare con la parola privacy, scaricata dalle molecole del nostro RNA responsabili dei ricordi e immagazzinate nel congegno.
E quando l’intero magazzino delle cose che ricordiamo (e di quelle che abbiamo dimenticato, altrettanto decisive per la nostra memoria) passasse da me a un altro? Sia che ne fossi per sempre privato – che ne morissi, alla lettera, della morte cerebrale – sia che le conservassi in copia, in società con l’altro, con le altre lumache di mare mie simili, io cesserei di esistere. Il genere umano cesserebbe di esistere, e con lui il lungo addestramento di cui va fiero e che gli ha insegnato a opporre alla scossa elettrica un tempo di reazione di 50 secondi invece che di 1 secondo, ammesso che sia vero, di fronte alla Corea del nord o allo scioglimento dei ghiacci.
L’ingegneria genetica ne trarrà una conferma alla propria opinione di sé come di un’Arca di Noé alla vigilia del Secondo Diluvio. Forse si può essere più ottimisti. Si può pensare a un espianto di memoria dal defunto a cuor battente, da conservare in un borgesiano archivio universale sulla scala di uno a uno. O a un backup progressivo, che via via sostituisca e surclassi i diari e gli zibaldoni e i filmetti di famiglia e i selfie e le autobiografie a puntate. Lumache di mare, sorelle.