Il Ficus macrophylla di Villa Garibaldi in piazza Marina, Palermo. Foto di Bjs/Wikimedia

Quanto è difficile spiegare Palermo

Adriano Sofri

Dalla città siciliana passa ogni specie di evento culturale e l'apertura ai migranti non costa la ghigliottina elettorale 

Dice un’amica: è difficile spiegare a voi Palermo perché ci è difficile spiegarci Palermo. Oggi passa di qui ogni specie di evento culturale e di incontro cosmopolita, come una Barcellona più meridionale. Sta per aprirsi, il 16, “Manifesta”, la grande Biennale d’arte contemporanea, che si chiuderà a novembre. Domenica anche il Palermo calcio ha fatto un gran passo verso il traguardo del ritorno in serie A, se saprà vedersela col Frosinone – andata oggi e ritorno sabato. Quando Palermo fu designata ufficialmente capitale della cultura 2018, lo scrittore Roberto Alajmo commentò l’inevitabile divergenza di pareri: “Le due fazioni cittadine contrapposte sono quelle tradizionali, orgogliosi versus sarcastici, quest’ultima categoria indicata localmente con un’espressione a sua volta sarcastica: ‘nemici della contentezza’.” I primi, grosso modo, contenti della giunta Orlando, i secondi malcontenti.

 

Anche chi opponga a un fantastico paese dei balocchi un reale paese della monnezza deve comunque riconoscere che la famosa retorica di Leoluca Orlando continua ad applicarsi senza esitazioni al tema dell’accoglienza fraterna verso gli stranieri, quelli poveri, e che Palermo resta un singolare caso in cui l’apertura senza riserve ai migranti non costa la ghigliottina elettorale. Tanto più nel momento in cui la chiusura razzista e impudente frutta nel resto d’Italia, compresa, ahimé, la Toscana, voti e gare di bestialità. Certo, a spiegare c’è la storia di Palermo e del suo crocevia senza pari di civiltà. Ma oggi altrove meravigliosi incontri passati di civiltà si bloccano al primo incrocio di lavavetri per scendere col cric in mano. L’altro giorno parlavo del mio libro alla manifestazione palermitana che si intitola “Una Marina di libri”, e che sarebbe bella e interessante come altre di questa stagione se non si svolgesse sulla scena formidabile dell’Orto Botanico. Il mio palco aveva di fronte il celebre Ficus macrophylla, o Ficus magnolioides, che ha quasi due secoli di vita (1845) e passa per essere il più grande albero d’Europa. Qualcuno ritiene che sia superato dal confratello, anche lui palermitano (o lei: i romani avevano ragione a fare femminili i nomi degli alberi) della Villa Garibaldi in piazza Marina, un po’ più giovane (1863), 10 mila metri cubi di chioma fogliare. Collocato in una piazza così centrale e con palazzi storici attorno, questo campione rischia sempre di esorbitare e di essere arginato. Cose di cui non so abbastanza, ma sono amico di Giuseppe Barbera, e questo basta. In ogni caso, parlavo di Kafka a qualche metro dalle propaggini del grande albero, e alla fine sono andato a contare i bambini che giocavano a nascondersi dentro il labirinto dei suoi tronchi annodati: erano almeno una ventina. Ci starebbero al coperto e al sicuro tutti i passeggeri dell’Aquarius. Alberi così devono avere a che fare con la capitale della cultura e dell’accoglienza.

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