La prossima guerra del governo sarà quella contro i centri sociali
Le recenti provocanti disposizioni sugli sgomberi ne sono un possibile prodromo
Mi guardo intorno e trovo (mi piacerebbe sbagliarmi) che la sinistra, comunque intesa, conti a questo punto di una sola risorsa militante, che sono i centri sociali. Molto diversi fra loro, naturalmente, e tuttavia ancora assimilabili dentro due connotati di fondo: un’ideologia, internazionalista, spesso anche retoricamente terzomondista, a volte fedele a ortodossie minoritarie, per così dire; e una pratica, legata a volte a luoghi stranieri – Palestina, Kurdistan, America latina… – e sempre a un territorio prossimo, quello del famoso radicamento, un paese, quartieri di grandi città. Una pratica sociale ispirata ai bisogni delle persone povere o emarginate, specialmente al bisogno di casa, e sempre con il proposito di suscitare una conoscenza reciproca e una solidarietà fra cittadini italiani vecchi e nuovi e migranti. E una salda ispirazione antifascista, rafforzata dalla frequente adiacenza con la pratica sociale dei gruppi apertamente fascisti, che fanno leva soprattutto sull’avversione agli stranieri. E’ un fatto che fra il modo di essere e di agire dei centri sociali (impiego la categoria in generale) e l’idea media che se ne è fatta la pubblica opinione attraverso gli anni, i decenni ormai, corra un grosso divario. Da quella opinione pigramente o accanitamente fomentata i centri sociali sono sentiti come masnade brutte, tendenzialmente teppistiche, magari violente, a un passo dalla nerezza dei black-bloc. Sicché paura, sospetto e insofferenza verso i centri sociali vengono, nella scala delle paure sospettose e delle intolleranze, appena dopo quelle per i migranti, coi quali appunto sono, e vogliono essere, collegati. Così stando le cose viene da immaginare (anch’io sono sospettoso) che i centri sociali diventino il prossimo bersaglio del governo e di polizie mutate in servizio d’ordine salvinista. Le recenti provocanti disposizioni sugli sgomberi, difficili da intendere in un governo nuovo e da immaginare cauto di fronte allo scontro sociale, ne sono un possibile prodromo. Se succedesse – il governo nuovo avrà, oltre alla voglia matta di infierire sui renitenti alla sua vastissima coscrizione, un bisogno di trovare continui diversivi e pericoli – i centri sociali saranno tanto più vulnerabili quanto più isolati: sia detto per loro e per gli altri. E la provocazione e repressione contro loro toglierebbe di mezzo, in parte o in tutto, l’ultima forma di sinistra militante, nelle strade e nelle piazze. Ci sono, direte, le manifestazioni, come quella milanese bella e sorprendente per la spontaneità e improvvisazione: ma le manifestazioni comunque convocate sono piuttosto impotenti una volta che si debba fronteggiare l’aggressione diffusa e sparpagliata. E per un bel po’ di tempo almeno, le manifestazioni, anche le più belle e meno improvvisate, come le internazionali che si programmano per l’autunno, dovranno dare per scontato un proprio carattere minoritario, perché gran parte della loro base militante dell’altro ieri o di ieri è – quanto provvisoriamente vedremo – passata al nemico. Dixi, et servavi animam meam.