Un saluto internazionalista. Sull'orlo dello strapiombo
Un episodio minimo che rallegra tra le notizie su quella strana affinità, perlomeno statistica, fra i suicidi di giovani altoatesini e i suicidi di forestieri, i più forestieri
Venerdì pomeriggio, sono sul treno che viene da Monaco di Baviera e va a Bologna. L’ultima volta, neanche un mese fa, il mio treno e tutti gli altri della linea restarono fermi vicino alla stazione di Rovereto quasi per due ore. Si seppe poi che un ragazzo di 17 anni si era buttato sotto un treno. Cercando su Google le ragioni del ritardo, avevo trovato una serie di analoghi episodi ferroviari luttuosi: ancora a Rovereto, a Mori – “un gesto estremo” – a Merano – “L’uomo, quarantenne, pare si trovasse senza nessun motivo apparente accovacciato sui binari” – un altro fra Mattarello e Trento – “Uomo di origine straniera ma privo di documenti […] Fra le ipotesi, non viene esclusa nemmeno quella del gesto disperato” – un altro ancora a Roncafort, sobborgo di Trento – “sulla trentina, originario del Camerun. Il treno era diretto al Brennero e non viene escluso che volesse salire sul convoglio in movimento. Potrebbe anche trattarsi di uno dei disperati accampati in maniera abusiva nei paraggi della ferrovia e che in quel momento attraversava i binari per recarsi nel suo giaciglio di fortuna”.
Tutto ciò fra il novembre dell’anno scorso e l’agosto di questo. Si notava nelle cronache la discrezione decisamente trentino-altoatesina che evita la parola suicidio. Però oggi, sul treno che fila in orario, leggo l’editoriale del Corriere dell’Alto Adige che comincia così: “Ogni mese un giovane altoatesino tra i 16 e i 22 anni muore suicida” (“Giovani, tormenti pericolosi”, di Fabrizio Mattevi). Ci sono molte ragioni su cui riflettere. C’è anche in me, insinuante, il pensiero di una strana affinità fra i suicidi di giovani in un luogo piuttosto benedetto dalla natura e dai governi, e i suicidi di forestieri, i più forestieri. Un’affinità perlomeno statistica: la loro somma può portare la regione ai record dei favolosi paesi scandinavi, delle loro quote di giovani tristi e di forestieri spaesati, quando non c’è un altro nord verso cui continuare il viaggio. Ma per trattare anche di ciò che rallegra, nella discesa dalla montagna a valle in uno dei mitici autobus sudtirolesi, che vanno dovunque, nuovi e comodi, in orario, e così via, ho visto che quando un autobus che scende e uno che sale lungo i tornanti a strapiombo si incrociano, e la strada è così stretta che devono rallentare e sfiorarsi, i due guidatori tirano fuori dal finestrino il braccio sinistro e si battono la mano. E’ un episodio minimo, lo ammetto, e ovviamente può avvenire solo d’estate, quando i finestrini sono aperti, però ha il suo valore: per esempio oggi il guidatore che andava in giù, con me, era calabrese, e quello che veniva su era tirolese. Un saluto internazionalista. Sull’orlo dello strapiombo.