Così Matteo Salvini mortifica il Parlamento
Il leader leghista dice di volere trattare con l'Ue "a nome di 60 milioni di italiani”. Non del governo, né del ministero: conta solo il mandato della piazza
Le cronache registrano premurosamente l’originalità dell’ubicazione del Viminale per radunare “gli imprenditori” presso il bue Salvini e il puntiglioso ronzio del giorno dopo da parte del moscone Di Maio: “Ariamo”. Nella goldoniana casistica di ruoli ed edifici – il vicepresidente che umilia l’altro, i vicepresidenti che trattano il presidente come un usciere, il presidente che mette dietro la lavagna il ministro del tesoro e così via – passa generalmente più inosservata la mortificazione del parlamento, benché si tratti di un parlamento “introvabile” quanto a vastità e docilità della maggioranza e intontimento dell’opposizione.
Non c’è nemmeno bisogno di un coltivato antiparlamentarismo per il leader decisionista della Lega e il suo sorridente gregario a 5 stelle. Basta ignorarlo, il parlamento. C’è la piazza. Piazza del Popolo, per l’esattezza, col suo nome fatidico, ora confiscata dall’uomo della provvidenza – della Vergine Maria, Santa Maria del Popolo, appunto, del Sacro Rosario, del Buon Dio e del povero papa polacco, tutti invocati insieme – che rivendica: “Datemi un mandato per trattare con la Ue, non a nome del governo, non come ministro, ma a nome di 60 milioni di italiani”.
Non a nome del governo, né del ministero, e tantomeno del parlamento, ma dei 60 milioni di italiani, tutti, di cui la folla della piazza – 30 mila? 40? 60? – ha la piena rappresentanza. Gli italiani tutti di qua, lui Salvini di là (scriviamo lui minuscolo, ancora per un po’. Avete contato quante volte il nome di Salvini viene pronunciato da Salvini stesso?). L’antiparlamentarismo, l’opposizione della piazza al parlamento, era un connotato essenziale di quel diciannovismo oggi, tardi, riletto per rintracciare analogie e differenze.
Nel 1915 erano state le piazze delle Giornate di maggio a travolgere un parlamento renitente all’entrata in guerra dell’Italia, e alla fine di quella guerra furono di nuovo le piazze a dichiarare scadute istituzioni di rappresentanza inette ai tempi nuovi. Una ironica circostanza fa sì oggi che una mezza vittoria elettorale e una travolgente vittoria nei sondaggi assegnino a un duce in pectore la confisca di 60 milioni attraverso la piazza. La sua piazza, nei confronti della quale le numerose e varie altre sono incidenti senza valore, Sì Tav e No Tav a Torino o donne a Roma o antirazzisti qua e là o studenti… Piazza del Popolo. “Chiedo il mandato di andare a trattare con l’Ue non come ministro ma a nome di 60 milioni di italiani che vogliono lasciare ai loro figli e nipoti un’Italia migliore”. Il mandato consegnato dalla piazza, per conto di 60 milioni e anche dei loro figli e nipoti. Ecco risolta, con gli interessi, la crisi della democrazia. Del discorso è stato notato dalla generalità dei commentatori il tono singolarmente moderato e conciliante.