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Quando i sensi non aderiscono più al loro compito

Adriano Sofri

Si diventa un po’ sordi, e un po’ non si vuole sentire. Si regolano le cifre che misurano il volume della radio con lo stesso allarme con cui si fanno nuovi buchi alla cintura

Si diventa un po’ sordi, e un po’ non si vuole sentire. Si regolano le cifre che misurano il volume della radio con lo stesso allarme con cui si fanno nuovi buchi alla cintura. Domenica mattina, per quanto tirassi su quei numeri, non riuscivo ad afferrare se non dei pezzi delle cose che diceva Barbara Alberti. Mi dispiaceva, è una che dice cose interessanti, comprese quelle che si definirebbero non-condivisibili. Divento sordo, ho pensato, e poi sono ancora nel dormiveglia di mezza mattina. Solo che sentivo bene quello che diceva l’interlocutrice, Chiara Valerio. Allora mi è venuto in mente Lamberto Maffei, che è, sapete, il neuroscienziato illustre, docente emerito della Scuola Normale (è nato nel 1936) e presidente dei Lincei, il quale ricava conseguenze sempre più nette dallo studio degli emisferi cerebrali, ed è arrivato a fare l’elogio della lentezza, ad avvertire che è cambiata la stessa biologia, così che i sensi non aderiscono più al loro compito, di farci conoscere la realtà, a invocare la ribellione contro lo stato di ipnosi in cui sembra caduta la nostra intelligenza.

 

Una volta, illustrando il divario fra il nostro tempo di reazione, e in particolare dell’emisfero sinistro, quello che si prende il tempo necessario ad andare oltre l’automatismo, Maffei aveva fatto l’esempio del treno. Viaggiando in treno leggiamo il nome delle stazioni attraversate, ma oltre una certa velocità non riusciamo più: il treno è troppo veloce per la nostra vista. Esperienza comune, per quelli di noi che ancora guardano fuori dal finestrino, almeno quando non c’è la galleria. Per quanto mi concentri al passaggio dalle stazioni minori, alla velocità alta non ce la faccio a decifrare le insegne. Effetti collaterali, una svalutazione della geografia veduta con gli occhi e una difficoltà di rispondere alla bella domanda: “Dove siamo?”. Ora, benché Chiara Valerio sia anche lei parlatrice veloce – come lo direbbe Omero? – Barbara Alberti è una parlatrice precipite, come se il gong del tempo scaduto e del senso comune le incombessero addosso. Come un pugile che all’ultima ripresa sia indietro ai punti e si butti sotto a testa bassa per cercare il colpo da tappeto. Comunque ho sentito che si porterebbe all’isola la luna leopardiana di Michele Mari e il mare di Roberto Murolo, e tanto basta.

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