Una piccola storia istriana che diventa soprattutto europea
“L’Europa intera deve quanto ha di buono alla presa di coscienza di tragedie di secolare ascendenza, dalle guerre di religione alle sopraffazioni, agli omicidi e alle espulsioni di massa del secolo scorso"
Frugando in cerca di miei vecchi libri triestini, sulla scia rugginosa del giorno del ricordo, ne ho trovato invece uno recente, del 2013. Un libretto elegantissimo che era sprofondato nel disordine delle mie carte, perfezionato da qualche visita di ladri frustrati. Si intitola “Piccolo elogio della non appartenenza”, sottotitolo “Una storia istriana”, il suo autore è Michele Zacchigna, per le Nonostante edizioni. Il testo copre appena una trentina di paginette, così belle ed essenziali che non proverò a riassumerle. Citerò piuttosto i titoli dei capitoletti: “Cuccioli istriani; L’età dell’oro; Il fissaggio triestino; La nonna; Spezzature; Giovanna; Mio padre; Il trasloco; La colonia estiva; Zia Antonia; Sonia; Il sessantotto; Il dovere dell’appartenenza; Un approdo diverso”. Seguono una pagina di Glossario e una Postfazione di Paolo Cammarosano, che dev’essere l’occasione per cui il libro mi fu spedito e che mi fa sentire più dispiaciuto di averlo ignorato così a lungo. Cammarosano è, fra molti talenti, un autorevole storico del Medioevo, e dal suo scritto apprendo che Zacchigna, nato a Umago d’Istria nel 1953, fu suo allievo e a sua volta medievista, ed è morto nel 2008 a Gemona del Friuli. Se non fraintendo, il “Piccolo elogio” è l’unico scritto letterario di Zacchigna. La sua è una storia istriana che diventa anche europea e in particolare italiana senza rinunciare per un momento a essere personale, individuale. “L’Europa intera – scrive Cammarosano – deve quanto ha di buono alla presa di coscienza di tragedie di secolare ascendenza, dalle guerre di religione alle sopraffazioni, agli omicidi e alle espulsioni di massa del secolo scorso. La storia istriana di Michele è una parte di questo retaggio, che deve essere ricordato, riconosciuto e dominato, in una tensione lucida verso quell’approdo diverso che lui avrebbe voluto vedere, sotto il ‘cielo di Trieste, sempre radiosa di bora, di freddo e di mare’, che illumina la sua pagina”.