Trieste a Carnevale
Librerie, maschere e gabbiani
Ho trascorso parecchi giorni fra Trieste e la Slovenia, “per ragioni di studio”, ma ne ho raschiato qua e là una vacanza. A Trieste si prende ancora sul serio il carnevale e in nome dei bambini gli adulti si mettono in maschera e se la godono. C’era la nave colossale fabbricata a Monfalcone per i cinesi, Costa Venezia, e la gente le faceva le fotografie e anch’io. C’era, ostinata ancora di salvezza, la libreria di Saba e il gran Mario, che ha una buona parola di rimprovero per tutti, che hanno tradito Trieste, anch’io, che l’abbandonai in fasce o quasi. La statua di Saba, “vandalizzata 7 volte dal 2004”, resta senza pipa e senza bastone, dice il Comune, finché non si installeranno delle telecamere: ha l’aria di saper aspettare. In un bel ristorante di Cavana sono scritte in corsivo sulle pareti citazioni illustri, compresi i primi quattro versi di Città vecchia, ma siccome lo spazio non bastava il terzo e il quarto endecasillabo sono spezzati. Però la metrica che ne risulta ha anche lei un’aria di Saba, così:
Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera
si specchia qualche fanale,
e affollata è la strada.
Le librerie moderne espongono, accanto a una produzione ingente sui temi di cui si continua a lamentare che siano oscurati – esodo e foibe hanno suscitato da tempo una fioritura di studi incomparabile con quella di altre zone di confine – alcuni titoli nel genere di Trieste-com’era, anche com’era poco fa: i bordelli, il pinguino Marco, che passeggiò per 32 anni sulla Riva ed era l’amico di bambini e grandi e dopo la morte si scoprì femmina. E un titolo che trascrivo per competenza, avvertendo i forestieri che la jota è il piatto più tipico di Trieste (patate fagioli crauti un osso di prosciutto…): “Jota continua”. Ne abbiamo comprato una copia per uno, io e Paolo Rossi, che era anche lui a lavorare in città e godere del suo tepore. A ridosso del Giorno del ricordo, qualcuno ha per l’ennesima volta vandalizzato anche il monumento di Basovizza, quello ai “Quattro eroi” sloveni: perché a Basovizza ci sono due memorie, e la prima risale al 1930, quando il Tribunale Speciale fascista a Trieste condannò a morte 4 degli imputati e li fece fucilare alla schiena il giorno dopo. A San Giusto, dove sono andato a visitare il cenotafio di Winckelmann, né bello né brutto ma un po’ solo, un barbone sordomuto mi ha offerto un pezzo della pizza che stava mangiando dietro l’abside della cattedrale. A San Giusto spiccano le alabarde e volano i gabbiani, che a Trieste non sembrano fuori luogo come altrove, dove del mare non arriva neanche l’odore. Anzi, i gabbiani sembrano invidiare l’eleganza dell’alabarda, e viceversa.