Konrad Krajewski e l'intimo rimpianto di non essere sceso anch'io in quel tombino
Un cardinale che si comporta da cristiano
Uno pensa: un cardinale che si comporta da cristiano. Poi legge un po’ e scopre com’è andata. C’era uno che si comportava da cristiano e questo Papa Francesco l’ha fatto cardinale. Forse voi sì, io non sapevo niente di questo Krajewski, delle sue notti romane in furgone, dei suoi giorni in vespa, della sua casa con dentro i siriani. Ieri ho sentito un giornalista, di quelli che sono io per giudicare, ha detto che questo Papa e il suo elemosiniere lanciano il sasso e nascondono la mano. A occhio, l’elemosiniere aveva nascosto la mano dopo aver fatto l’elemosina, finora. Ora invece l’ha fatta grossa, sia pure al buio. Ho cercato il maggior numero di commenti, volevo avere un nuovo indizio del tempo in cui vivacchiamo. Mi sono divertito, anche. Per esempio dell’idea che il Papa fosse il mandante diretto dell’allacciamento elettrico di cui il cardinale è stato l’esecutore materiale. Ci sarà pure un’intercettazione del dialogo fra i due. Santo Padre, che faccio? Spezzo i sigilli? Spezza, figliolo, e che Dio ce la mandi buona. C’è un ex magistrato, già frequente in queste pagine, che ha avuto una sua Damasco salviniana, sincerissima senz’altro (sarebbe peggio), persuaso che si sia leso irreparabilmente in quel riallaccio il primato della Legge e la sovranità dello stato.
La Legge aveva appena segnato un nuovo punto con le cinque migliaia e passa di euro a testa di migrante soccorso e il rigetto del rinnovo ai rifugiati (i rifugiati, quelli dell’asilo politico) privi e privati di dimora verificabile. Ho trovato, anche in persone solitamente libere da interessi e pregiudizi faziosi, più dubbi di quanti ne aspettassi. La disobbedienza, nemmeno quella a fin di benissimo, non ha il vento a favore, e la chiesa – l’intera chiesa, che l’elemosiniere polacco si tira dietro come un barbone la sua coda di cartoni – ha tutti quei conti da rendere, Marcinkus e la pedofilia e l’Imu, o l’Ici, o tutt’e due. Non è servita abbastanza nemmeno la prossimità con la legge sulla legittima difesa, e la sua generosa interpretazione: c’erano 500 persone al buio, bambini, terapie senza corrente, acqua fredda, un prete di ritorno dai campi di Lesbo, stanco, si capisce, provato dall’angustia che aveva visto, una suora gli dice “qui sono sei giorni che stiamo così, sono i nostri fratelli e sorelle, i nostri figli”: potrebbe costui, potreste voi, non essere presi dal “grave turbamento” che autorizza a sparare nel buio, e figuriamoci ad accendere la luce?
La mia reazione – chi sono io per non partecipare – è stata nettissima quanto impulsiva dal primo momento: un intimo rimpianto, di non esserci stato, di non essere sceso anch’io dentro il tombino, se davvero bisognava calarsi in un tombino ed è quello che ha fatto Konrad Krajewski, e aver strappato un sigillo o tirato su un interruttore o abbracciato un cristiano per quanto cardinale, per festeggiare, o un occupante elettricista musulmano, caso mai. Non prendetelo per un eccesso di zelo, ma da quando ho sentito il nome, Konrad Krajewski, mi rigiro in testa quel predecessore polacco, Konrad Korzeniowski, detto poi Joseph Conrad, che di storie di cuore e di tenebra era intimo. Per chiarezza: se fossi stato là, e prima di calarci nel tombino il bravo cardinale mi avesse chiesto: “Ma lo sai che è un reato, che si può andare in galera?”, avrei riso di vero cuore e l’avrei rassicurato, che lo sapevo bene e che quella piccola discesa agli inferi valeva l’altra più grande. Farò a meno del pudore: se esistesse un modo di rendersi corresponsabile di fronte alla legge e alle sue conseguenze io non vedrei l’ora di avvalermene. Mi accontenterò di una quota sull’arretrato. 300 mila euro rateizzati, secondo il modello Lega, in 76 anni, sono una bazzecola che perfino io posso permettermi.