Nessuna donna ama uno stivale in faccia. Salvini, l'Alabama, le yazide
Sylvia Plath, un libro triviale e le verità nascoste agli uomini
Ogni uomo che voglia riconoscersi come uomo continuerà a interrogarsi sulle donne, sulla donna. Ogni giorno di nuovo, anche nella vecchiezza stanca e disfattista. Sono stato turbato, da quando li ho conosciuti, dai versi di Sylvia Plath, “Every woman adores a Fascist, / The boot in the face, the brute / Brute heart of a brute like you”. (Ogni donna adora un fascista, / La scarpa in faccia, il brutale / Cuore di un bruto a te uguale). Stanno nella sua poesia forse più famosa, “Daddy” – Papà – scritta nel 1962. Il padre, un entomologo tedesco immigrato in America a 15 anni, morto nel 1940, quando Sylvia aveva 8 anni, vi è ricordato-immaginato come un nazista, “il” nazista, e occorre tener conto di questo contesto. Quelle parole, “Ogni donna adora un fascista”, provocano in un uomo (in me, se preferite, ma vorrei generalizzare) un dolore e un turbamento per la possibilità che siano vere, che le donne siano davvero così. Somigliano troppo al pregiudizio che gli uomini temono e coltivano, e che hanno tenacemente iscritto nei loro codici, che ogni donna in fondo ceda al suo stupratore.
Non può essere un pensiero così grossolano, del resto. Ma quelle parole hanno un reciproco, dicono soprattutto qualcosa degli uomini, di “ogni uomo”, piuttosto che di ogni donna. Un uomo decisamente maschile, benché meno rozzamente del suo grande amico, Friedrich Engels, coniò quel pensiero celebre, che nella famiglia l’uomo è il borghese, e la donna rappresenta il proletario. Il verso di Plath suona come una sua terribile, aggravante parafrasi: nei confronti della donna ogni uomo è un fascista. Non è vero, naturalmente, gli uomini sono diversi, grazie al cielo, e lo stesso maschilismo non arriva inevitabilmente fino al fascismo eccetera. Tutte queste avvertenze sono del tutto ragionevoli. Forse troppo, però, perché vorrebbero aver ragione di quel tarlo che continua, molto sotto, a scavare. Bene, possiamo fermarci qua, quanto all’eterna questione. Che però è stata appena rievocata in una parodia grottesca dalla frase d’apertura del cosiddetto libro su e con Salvini: “E’ l’uomo più desiderato dalle donne dello Stivale”.
Qui la mia disponibilità al turbamento erige un muro più che ungherese, filo spinato compreso. Una cazzata triviale è una cazzata triviale è una cazzata triviale; e che l’abbia compilata una donna non la attenua di un millimetro. E anche quando abbiate tolto gli otto noni della cazzata e restasse solo quello “Stivale” maiuscolo avreste comunque una rappresentazione del fascismo piccolo ed esclusivo. E’ perfino comico, Plath dice del “Boot in the face”, lo stivale in faccia (non ho tempo di controllare, in rete trovo due diverse traduzioni attribuite a Giovanni Giudici, l’altra è questa: “Ogni donna adora un fascista, / Lo stivale in faccia e il cuore / Brutale di un bruto a te uguale”). Vedete quanta strada possa fare un vecchio scarpone. Mi meraviglio che non sia ancora venuto un sondaggio a reti unificate sulle donne dello Stivale e il Truce: sia detto con un vero rispetto per le singole donne che vogliano innamorarsene, buona fortuna. Un’altra variante dei traduttori di Plath sostituisce a “adora un fascista” “ama un fascista”: ma è un’altra cosa, evidentemente. All’amore non si comanda, forse, all’adorazione sì. Ho provato a vedere se Amelia Rosselli, nostra grande poeta e così intima di Sylvia Plath, avesse tradotto anche “Daddy”: direi di no, e non a caso. Suo padre era Carlo Rosselli.
C’era un’altra cosa, ieri: la legge dell’Alabama contro l’aborto. Firmata da una governatrice donna. Gli uomini, divisi come sono, ci mettono un po’ ad avere una convinzione netta sull’aborto: succede, quando ci facciamo un’idea di qualcosa che non può riguardarci. Non può riguardare il nostro corpo. Così, specialmente i più vecchi, ci mettemmo un bel po’ a sentire che l’habeas corpus ha questa prima, inesorabile incarnazione: la sovranità della donna, di ogni singola donna, sul proprio corpo. In uno stato degli Stati Uniti si dice che appartiene allo stato e non alla donna il seme che un violentatore o un padre incestuoso le ha piantato nel ventre assieme al suo membro. Non riesco a immaginare violenza più efferata. In questi giorni, ne ho riferito qua, le donne e le ragazze yazide rapite, schiavizzate e rese madri dai farabutti dell’Isis sono costrette a scegliere se tornare fra la loro gente a condizione di abbandonare le creature non volute che hanno partorito e accudito e amato, o perdere per sempre il loro popolo. Il governo dell’Alabama ha fatto di peggio.