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Non al Pd, è al Partito non-Partito che bisognerebbe chiedere con chi vuole allearsi

Adriano Sofri

Il capo politico Di Maio e il problema più evidente

Sono tanti i giochi delle parti. Uno è quello dei giornalisti che venti volte al giorno, in venti programmi televisivi diversi cioè tutti uguali, chiedono ai dirigenti del Pd se siano intenzionati ad allearsi con i 5 stelle. Nemmeno per sogno, rispondono i dirigenti del Pd. Ma come pensate di poter tornare a governare? – incalzano i giornalisti – Immaginate forse di ottenere la maggioranza da soli?

 

Ora: è piuttosto evidente che quei dirigenti del Pd sanno bene che non avranno la maggioranza da soli, e contano pubblicamente di superare il 20 per cento, e in fondo al cuore di raggiungere magari il 22, o il 23,4. Dunque di essere lontani dalla maggioranza di una trentina di punti. Ed è evidente che i giornalisti sanno che i dirigenti del Pd lo sanno. Ma dichiarare prima del voto europeo l’intenzione di allearsi con i 5 stelle sarebbe doppiamente controproducente per i dirigenti del Pd: scatenerebbe gli assalti intestini, e darebbe una mano alla campagna dei 5 stelle così come sono.

 

E’ evidente anche che dopo il voto il problema si porrà, e che il modo dipenderà fortemente dal risultato del voto. Ma soprattutto i dirigenti del Pd, e auspicabilmente il Pd intero, dovranno decidere se cercare un rapporto coi 5 stelle come sono stati e sono, una volta stracciato il loro contratto con la Lega, o (aut) cercare un rapporto con quella parte dei 5 stelle che avrà fatto i conti con la lezione del governo con la Lega, e li avrà presentati. Fino al (provvidenziale? Caduto dal cielo? Un anticipo?) caso Siri, Di Maio, il “capo politico”, e basterebbe il nome, ha portato a Salvini con le orecchie una quota ingentissima del patrimonio di voti e consensi di cui disponeva, come non avrebbe saputo fare nemmeno un infiltrato. E’ stato soggiogato dalla invadenza triviale del socio, lo ha spesso scavalcato affannosamente sul suo terreno, come per i taxi del mare. Quando dalla sua tasca sfondata stavano defluendo gli ultimi spiccioli nella collaudata borsa leghista, è successo il caso Siri, ed è successo che la gente in giro ha cominciato ad averne abbastanza del bullo leghista e del suo governo di polizia: in particolare, ha cominciato a farsi i selfie a modo proprio. Fino ad allora chi non era nessuno faceva la coda per farsi il selfie con Salvini e essere qualcuno. Poi sono arrivate le ragazze e i ragazzi che erano qualcuno e lui non era nessuno. Poi gli striscioni eccetera. Di Maio, sull’orlo della bancarotta, ha alzato la vocina su tutto – quasi tutto. Gli restava un riflesso condizionato. Raggi andava al pogrom contro la giovane rom e lui obiettava: prima i romani. L’Onu avvertiva che progettare di far pagare caro il soccorso ai morenti era grave, e lui protestava contro l’Onu. Il movimento non è un partito, dicono. E’ vero: nessun partito si sarebbe tenuto così a lungo un Capo Politico che lo dissanguava inesorabilmente a vantaggio del suo scalmanato rivale. Dopo il voto il Pd avrà un problema quanto al governo, e uno ancora più grosso quanto all’opposizione, ma i 5 stelle avranno un problema maggiore. Hanno fatto da scivolo, dal Pd alla Lega, per una moltitudine di esacerbati. Per fortuna il tempo finisce, ma è a loro che andrebbe chiesto con chi pensano di governare in futuro, quando l’invenzione dei contratti sarà scaduta. Ho un’osservazione finale su questo giornale. La drammatica cialtroneria del governo gli ha permesso di essere una vera palestra di opinioni, oltre che di disgusti. Temo il momento in cui voglia, nei suoi organi superiori, scegliere fra un eventuale, eventualissimo, centro e uno dei due contrattisti attuali. Sarà finita la pacchia.

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