La stagione dell'infamia italiana
Il decreto che legalizza la persecuzione civile e penale del soccorso in mare
Proviamo a dare alle cose il loro nome. E alle persone. Mentre i due supposti capi del governo, capo e sottocapo, mettendo fuori gioco il supposto premier, moderno Aristogitone, continuano a fingere di litigare e riconciliarsi, il decreto sicurezza bis è passato alla Camera e aspetta solo il passaggio al Senato per perfezionare, entro il 13 agosto, il suo vigore. Io non ho alcuna competenza giuridica, ma trovo che il decreto pretenda di legalizzare, e più esattamente di rendere obbligatoria, una serie di crimini. I più gravi dei quali stanno nella persecuzione civile e penale del soccorso in mare: sanzioni finanziarie enormi alle navi, confisca, arresto dei capitani o delle capitane, e ciò con il passaggio della titolarità al ministero dell’interno. Si osserva che queste misure configurino il reato penale, oltre che morale, di omissione di soccorso. Ma l’omissione di soccorso, nella logica profana e laica che è la sola che io sia in grado di frequentare, prevede una circostanza fortuita in cui ci si imbatta in persone (o cose, anche, meno rilevantemente) bisognose di soccorso e si rifiuti di prestare il soccorso necessario e possibile.
Qui, nel mare Mediterraneo, non c’è una semplice, e pur abietta, omissione di soccorso, perché l’evenienza di persone bisognose di essere soccorse a rischio della vita non è casuale ma prevedibile, prevista, conosciuta, e spesso nota fin nei dettagli di tempo e di spazio. Dunque il capovolgimento della legge del mare, che obbliga al soccorso, nella legge del governo e del parlamento italiano, che vuole penalizzare il soccorso, non è un reato omissivo, ma un delitto volontario di concorso in omicidio: aggravato dal numero e dalla qualità delle vittime, bambini e minori in genere, donne incinte, esseri umani in fuga.
Una piccola parte di deputati dei 5 stelle hanno negato il proprio voto a questa legge: si assentarono, e credettero così di salvare l’anima loro. Gli altri, quelli del sottocapo, hanno venduto corpo e anima al diavolo. Si sono adeguati alla brillante immagine inaugurale di questa stagione dell’infamia italiana, i “taxi del mare”. Giovedì in un incidente stradale, di una strada d’acqua, uno o due taxi hanno scaricato in mare 100 o 150 passeggeri (del resto, che differenza fa, 50 in più o in meno? E che 50 fossero bambini o donne incinte?). Il capo, quello della pacchia, della crociera, non ha dissidenti nelle sue file. Contrattisti uniti per fiancheggiare una strage di massa.
Ieri a Roma uno scellerato ha ucciso a coltellate un bravo carabiniere, per quasi niente, il peggiore dei motivi. Hanno fatto a gara, capi e sottocapi, a deplorare questo orribile, inconsulto omicidio, com’era inevitabile. Hanno potuto più facilmente tacere di 100, o 150 – che differenza fa? – annegati in acque libiche. I salvati, più o meno altrettanti, erano stati aiutati e guardati a vista da pescatori. Gente che il decreto sicurezza bis minaccia: allarghino le maglie delle loro reti, abbastanza da non impigliarle nello strascico di cadaveri umani, pesca grossa.