Le ragioni relative della crisi di governo
Ecco cosa mi sarebbe piaciuto sentir dire e veder fare in questi giorni di trattative per la formazione dell'esecutivo
Oggi (ieri per voi, dunque quando non c’era idea di come andasse a finire) scrivo della cosiddetta crisi di governo. Della crisi, cioè. Ho una prima osservazione: mai le opinioni si erano mostrate così diverse e spesso opposte, anche quando partivano da premesse di fondo, visioni del mondo, per dire così, affini. Io, per esempio, la pensavo diversamente da miei amici politici e soprattutto amici e basta, da Emanuele Macaluso a Sergio Staino, a Enrico Rossi a Gianni Cuperlo, prediligendo loro le elezioni. Ho due figli, e probabilmente tre opinioni diverse – o stati d’animo, in questo caso coincidevano più che in altri. Mi sembra chiaro che nessuno potesse aver ragione per una questione di principio, e ciascuno avesse ragioni relative, un differente bilancio fra pro e contro. L’andamento delle cose ha rafforzato l’opinione di chi era contro la formazione del governo fra 5 Stelle, Pd e sinistra. In particolare, la presidenza di Conte con Di Maio vicepresidente e ministro di qualcosa era palesemente uno scherzo da prete. Ma una prima conclusione è che su dissensi relativamente motivati non si possano costruire rotture e linguaggi assoluti, e tanto meno compiacersi dei linguaggi ultimativi che vanno così forte: allora me ne vado, allora fondo un altro partito, allora ti tolgo il saluto, allora…
Seconda osservazione: i politici (io non dico “i politici”, non dico “gli italiani”, non dico “il paese”, io pressoché questo solo so, quello che non dico, un elenco che non fa che allungarsi) i politici, che sono una varia umanità, pensano a volte anche a quello che sembra loro il bene comune, e può capitare, certo raramente, tanto più da quando sono finite, come si dice, le ideologie, che mettano il bene comune al di sopra se non contro il loro personale interesse. I giornalisti (io non dico “i giornalisti”, un po’ perché sono in via di rapida estinzione, sostituiti da un vasto novero di persone che scrivono e dicono la loro in molti luoghi) sono sempre più simili a controfigure dei politici, e viceversa, con una differenza: che non vanno “a casa”, non si riconoscono alcuna verifica, nemmeno l’insuccesso di mercato, e tuttavia si avventurano spesso in sentenze drastiche, e mediamente – mediamente, cioè con differenze verso l’alto e verso il basso – non paiono, sulla carta, in rete e soprattutto in televisione, meno stupidi della media dei politici. Dunque abbassare la cresta, come programma minimo. Infine, chiarito che non direi che cosa il tale o il talaltro dovrebbe dire o fare, per esempio Nicola Zingaretti, dirò che cosa mi sarebbe piaciuto di sentir dire o veder fare. E siccome la cialtroneria dell’orizzonte nazionale e internazionale sfida il cielo (Bolsonaro che esibisce la “propria” donna contro la donna d’altri, Macron, è non a caso un amicone di Salvini) avverto che dirò sul serio. Sempre più spesso uno viene preso sul serio quando scherza, e viceversa. Io avrei trovato intelligente (non furbo: intelligente) che all’inizio della crisi il Pd candidasse alla presidenza del Consiglio venturo Giuseppe Conte, e ne facesse una condizione ultimativa, come si usa. Se i 5 Stelle l’avessero rifiutato, si andava al voto. Il Conte del discorso al Senato, al cui fianco Di Maio stava zittissimo, si era tagliato drasticamente i ponti con la Lega e personalmente con Salvini. Il Conte candidato dal Pd avrebbe messo almeno nell’angolo Di Maio, la cui pretesa di essere il “capo politico” è meravigliosa, essendosi irrefutabilmente dimostrato Salvini il peggiore e Di Maio il più sciocco dell’anno passato. E infine il Conte di un governo fra 5 Stelle Pd e sinistra avrebbe consolidato la propria acquisita lealtà europeista – compresa la gratificazione di vanità. E’ verissimo che Conte ha tenuto il sacco alle imprese della banda bassotti del governo di cui era presidente travicello, e che anche dopo aver alzato la vocina in qualche occasione ha parlato chiaro solo dopo che Salvini, ubriaco di sé, ha rotto: tutto vero. Ma una volta successa la cosa, il Conte che si era tagliato alle spalle i ponti con la Lega mentre Di Maio e altri energumeni della banda si scambiavano messaggi di dolce rimpianto col Salvini spiaggiato, quel Conte era una personificazione della discontinuità. Questa era la mia opinione, tutta relativa, io voglio restare amico fraterno di Emanuele, di Sergio, di Enrico, di Gianni, dei miei figli. Nella mia ipotesi, Zingaretti si sarebbe oltretutto risparmiato l’imbarazzo di accettare o no il Conte proposto, imposto, del tutto strumentalmente, da Di Maio. La mia argomentazione ha un postumo punto debole: che il Conte della trattativa successiva si è rivelato molto affezionato al posto di presidente del Consiglio. Avrebbe potuto chiamarsene fuori. Non l’ha fatto, lui è lui, io sono io. E chi sono io per giudicare.
Adriano Sofri