Giuseppe Barbera non poteva scegliere momento peggiore per la pensione
In questa fase non c’è programma televisivo né programma di partito di cui gli alberi non siano ospiti d’onore. Ecco perché per il gran professore di colture arboree sarebbe stato meglio aspettare qualche anno
A Palermo si fa festa per Giuseppe Barbera che va in pensione. Che momento per far festa, e che momentaccio per andare in pensione. Immagino Giuseppe Barbera, il famoso autore di “Abbracciare gli alberi”, all’indomani dell’abbraccio di Salvini a un ulivo veterano che credeva di averle già viste tutte. Per certi mestieri e certe persone l’età della pensione andrebbe spinta molto più in là, senza aggravi di costo, naturalmente. Barbera intanto è andato e tornato in Cina, e ne ha riportato una serie di idee, per esempio che con la Cina il mondo è spacciato, dunque forse dalla Cina sarà salvato (Antropocene, agricoltura e paesaggio, Aboca, pp. 89). Accettata ormai la nozione di Antropocene, si litiga solo sul suo inizio: se nel 1945, o a metà ’800, o parecchie migliaia di anni prima, quando le donne ne ebbero abbastanza della selvaggina e delle fanfaronate dei cacciatori e si misero a seminare l’orto. Qualcuno però si è sottratto alla gara a ritroso e ha aggiornato il nome della nostra èra geologica, la grossa parte per il tutto: Sinocene. Loro colpevoli, loro vittime, loro ultima speranza. Meno Mao (“guerra alla natura”) più Confucio.
Abbiamo appena letto che i cinesi hanno comprato a prezzi stracciati i meravigliosi alberi della Val di Fassa: faranno un miliardo e mezzo di violini a prezzi stracciati. Barbera, nostro maestro di capperi di Pantelleria, di agrumi della Conca d’Oro e di fichi d’India, è un gran professore di colture arboree, e gli alberi non sono mai andati così forte. Tanto più amati quanto più falcidiati. Non c’è programma televisivo di cui gli alberi non siano ospiti d’onore, né programma di partito – Italia viva è andata oltre Ulivi e Querce deliberando di piantare un albero a iscritto, e l’Etiopia (105 milioni di abitanti) di Abiy Ahmed, Dio lo benedica, fresco Nobel per la pace, e minacciato dentro e fuori dalle vecchie guerre, ha fatto piantare 350 milioni di alberi in 12 ore lo scorso 30 luglio, dice. Solo Bolsonaro può tenergli testa, alla rovescia, dal lato dell’estirpazione. D’altra parte quando un forsennato ministro della giunta militare brasiliana negli anni 80 dichiarò che se il mondo credeva che l’Amazzonia fosse il suo polmone, si acconciasse, il mondo, a comprare a un tanto al barile l’ossigeno dell’Amazzonia, come il petrolio; e c’era del metodo in quella follia. Sono a Milano, al gate 29 della Malpensa, la palma è salita ma io sto andando a Palermo, a far festa a Giuseppe Barbera, sento già un profumo di mandarini, un sapore di carrube, una disfatta di serpenti tentatori e di punteruoli rossi.