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Una inutile litania contro Marco Cappato

Adriano Sofri

Non serve parlare di politica e di giustizia. Non c’è una politica e non c’è una giustizia. Ce ne sono di più

Prima di tutto colpisce la tenacia dell’impegno di Marco Cappato – e di Mina Welby, e delle persone militanti nell’associazione Coscioni. La tenacia va contro l’aria del tempo, che vuole essere leggera ed effimera, e bruciare desideri propositi e giuramenti. Quando questa ostinazione a rivendicare la libertà di ciascuna persona consapevole di decidere della propria vita si leghi all’amicizia e alla frequenza delle persone in carne e ossa, ossa e carne e anima straziate, che invocano d’essere aiutate, il peso umano appare schiacciante e spaventa e respinge. I militanti di cui parliamo, Cappato e Welby e le altre e gli altri, hanno per giunta scelto sempre più nettamente di rinunciare, almeno in apparenza, al doppio impegno, quello specifico sulle questioni di vita e di morte, dell’inizio e della fine della vita, e quello generale sulla “politica”, il governo del tempo che si stende fra quei due punti. In loro agisce la convinzione che quella apparente “questione singola” sia il rocchetto attorno al quale si svolge e si srotola un’idea del mondo. Lo spettacolo dell’assise milanese – l’amministrazione della giustizia è anche uno spettacolo pubblico, che vuole essere esemplare, qualunque strada prenda la sua esemplarità – è stato a sua volta impressionante. L’imputato, l’accusatrice pubblica, i giudici, hanno convenuto sul fondo e tutti hanno potuto riferirsi alla sentenza della Corte costituzionale. La Corte aveva dichiarato illegittimo l’articolo del codice penale che equipara l’aiuto all’istigazione al suicidio: “Nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”. Erano convenuti tutti, tranne il potere legislativo (e il governo), che hanno scelto da un tempo immemorabile di non scegliere. Si può pensare, qualcuno lo pensa schiettamente, che astenersi dal fissare in una norma legale questioni di una tale intima delicatezza e rischiosità sia la cosa migliore che il parlamento possa fare: pensiero che però sbatte contro il fatto che altri organi, altri luoghi intervengono a decidere nel vuoto tra una legge obsoleta e una elusa. E’ questo che impedisce di protestare contro l’invadenza dell’amministrazione della giustizia nella vita pubblica e privata.

 

Appena l’altro giorno c’era stato un altro caso, diversissimo e non abbastanza valutato, di quella invadenza, in Olanda, dove la Corte Suprema, dopo due gradi di giudizio, ha definitivamente decretato l’obbligo del governo a ridurre le emissioni di CO2, entro il 2020, almeno del 25 per cento rispetto al 1990; dunque, poiché da allora sono state ridotte così da raggiungere il 17-18 per cento nel 2020, di ridurle di un ulteriore 7-8 per cento entro un anno. Il governo, che aveva tentato tutti i ricorsi, è ora tenuto ad applicare la sentenza: la prima cosa che farà sarà la chiusura delle riaperte centrali a carbone. La sentenza richiama gli articoli 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, che dichiarano la vita e il benessere delle persone diritti universali e inviolabili. Dunque, se non la si dimostri arbitraria, la sentenza coinvolge logicamente l’azione dei governi e dei parlamenti di ogni altro paese europeo. Nel caso olandese, essa non è stata pronunciata in carenza di un’iniziativa politica. Il governo aveva fondato la sua avversione sulla convinzione che non sia legittimo per un tribunale indipendente “giudicare la politica di un governo e per questa via cambiarne la politica”. Il vuoto, in questo caso, non riguarda una pavidità o un astensionismo legislativo, ma il contrasto fra i programmi che governi nazionali e organi internazionali proclamano necessari e urgenti, e la loro elusione di fatto. Un tribunale indipendente olandese può, in nome di una legge europea (e dei suoi riferimenti universali) obbligare il governo olandese. Non esiste un tribunale indipendente europeo, e tantomeno universale, in grado di ottenere lo stesso. Bel problema, che risuscita in molti il vecchio alibi: che senso ha che la piccola Olanda, la piccola Italia, tagli le sue emissioni di gas serra, mentre il resto del mondo va per la sua strada distruttiva? (Per analogia: che senso ha che io non butti la mia cicca in strada quando tutti gli altri eccetera…?). L’invadenza della cosiddetta giustizia è un malanno micidiale, ma trova un terreno propizio nella micidiale immunodeficienza della democrazia e dei comportamenti privati. Postilla: in Olanda la causa era stata promossa da un’associazione di centinaia di cittadini, che l’hanno tenacemente perseguita dal 2013, e attraverso due sentenze, del 2015 e del 2018. Oggi nel mondo sono più di un migliaio i processi intentati per i danni del cambiamento climatico contro governi e grandi compagnie.

 

L’Italia è probabilmente il paese in cui l’invadenza giudiziaria è più grossolana – il Brasile di Bolsonaro e Moro, che del resto le si è ispirato, gioca in un altro campionato. Più realista del re, la politica provvede a regalare alla magistratura anche quello di cui i suoi esponenti più vicini ai problemi veri farebbero a meno, come l’abolizione della prescrizione. D’altra parte, proprio in questi giorni stiamo facendo un bilancio del modo in cui provvedimenti politici disgustosi come i cosiddetti decreti sicurezza sono dimostrati illegali e inapplicabili in un vario numero di tribunali indipendenti. Non ci sono conclusioni da trarre, se non una: che parlare di “politica” e di “giustizia” e di “conflitto fra politica e giustizia” è una inutile litania. Non c’è una politica, non c’è una giustizia, ce ne sono di più, dell’una e dell’altra.

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