Come mai sono stato condannato. Replica a Mughini, attraverso Mughini
Una laboriosa memoria a 47 anni dal delitto Calabresi
Spiegherò attraverso Mughini a Mughini, e soprattutto agli eventuali lettori che non ne abbiano avuto abbastanza, come mai sono stato condannato. Scrive Mughini che è a Pisa “quel pomeriggio” (13 maggio 1972, quando avrei impartito il mio “mandato”), è a casa di Luciano Della Mea, perché hanno deciso di non venire al mio comizio, tanto più che “la pioggia batteva alla grande contro le finestre”. Ma a un certo punto la pioggia smette e allora escono alla volta del luogo del mio comizio. Be’, nient’affatto. Mughini e Luciano D.M. erano andati a un altro comizio, in un’altra piazza, sullo stesso tema, il ventenne Franco Serantini, morto ammazzato di polizia e di carcere. Là parlava Pajetta per il Pci, dall’altra parte io per Lotta Continua. Mughini, che ora se n’è dimenticato, in cambio si è ricordato che “non cadeva più una goccia”: “La mia memoria ci ha messo venti o trent’anni a ricostruire i momenti e i particolari”. Sono passati 47 anni, come li ha riempiti la laboriosa memoria di Mughini? Ecco una rapida cronologia (è tutto in rete, non ho faticato). Accusato, 31 anni fa, io dico che durante il mio comizio pioveva, e il mio accusatore se n’era dimenticato. Allora, 1988, chiedo a Mughini, che c’era, di testimoniare che pioveva forte, e lui se ne ricorda bene, e lo conferma.
17 giugno 1990: Mughini mi intervista per Panorama, titolo “Eppur pioveva”, premessa di Mughini: “Nel libro non figura la foto in bianco e nero che qui viene pubblicata per la prima volta /…/ La foto mostra difatti Sofri mentre sta commemorando Serantini. E’ il tardo pomeriggio di sabato 13 maggio 1972. Di lì a poco, secondo la ricostruzione di Marino, a comizio ultimato, Sofri sarebbe sceso dal palco, si sarebbe avvicinato a Marino, insieme avrebbero camminato fino a un imprecisato bar, e pochi istanti dopo, loro due appartati fuori dal bar, Sofri avrebbe dato all’ex operaio di Mirafiori l’ordine che è costato la vita a Calabresi. Solo che la foto mostra in modo lampante un particolare di fatto assente dalla ricostruzione di Marino e che l’indebolisce gravemente, e cioè che a Pisa, il pomeriggio del comizio di Sofri, diluviava. L’oratore sta parlando protetto da un ombrello, il drappo (rosso) che copre il palco è inzuppato di pioggia. Una pioggia battente, di cui Marino non si ricordava affatto”.
26 aprile 1991, lettera di Mughini al direttore del Giornale, Montanelli: “Secondo le testimonianze dell’accusatore Marino, proprio alla fine del comizio dov’era ricordato Serantini, Sofri gli avrebbe dato l’ordine di uccidere Luigi Calabresi, in un certo senso a vendicare Serantini. Accusa alla quale io non credo, caro direttore. Fra pochi giorni sarò a Pisa, a testimoniare a favore di Sofri, perché il giorno del comizio c’ero anch’io a Pisa (da giornalista), e pioveva a dirotto: esattamente come sostiene Sofri”.
Febbraio 1990, Della Mea testimonia al nostro primo processo. Copio dalla sentenza: “Luciano DELLA MEA riferiva che /…/ era andato ad assistere al comizio del P.C.I., dove ricordava esserci stata una pioggia torrenziale… DELLA MEA narra di avere ‘un ricordo anche vivissimo, perché MUGHINI vestiva di pelle, e l’acqua ruscellava su questa pelle lucida; e quindi fu veramente un temporale insolito e lungo’”.
(Mughini, che Dio lo perdoni, martedì scorso, fine 2019, qui sul Foglio: “Della Mea testimonierà in tribunale, a favore di Sofri, che i miei pantaloni di pelle rossa ‘ruscellavano di pioggia’. La mia memoria ci ha messo venti o trent’anni a ricostruire i momenti e i particolari di quella nostra camminata. Il fatto è – lo dico con l’infinito amore che ho per la memoria di Luciano – che Della Mea aveva mentito”).
2001, la memoria di Mughini procedeva: “… non esistono prove, a parte la parola di Marino, che quel sabato pisano, e mentre stava smettendo di piovere (ero lì, a poche decine di metri), Sofri sia sceso dal palco dove aveva commemorato Franco Serantini e gli abbia mormorato un ‘Vai e uccidi!’. Questo mai lo crederò”.
Interrompo l’antologia, il diagramma del lavorio della memoria di Mughini, per sole ragioni di spazio e di pazienza. Ora vediamo perché Mughini vi si dedichi così scrupolosamente. “Contrariamente a quel che sostenevano i sodali di Lotta continua, i quali si appoggiavano sul fatto in quel momento a Pisa scrosciava una pioggia furibonda, quell’incontro c’è stato di certo”. (Il corsivo è suo). Ma la pioggia non era affatto un motivo per sostenere che io non avessi incontrato il mio accusatore: al contrario, il Marino che aveva dimenticato la pioggia aveva anche finto di dimenticare che quella sera era venuto a casa mia e di mia moglie e dei nostri figli, come molti altri nostri compagni, e anche questo fui io a ricordarglielo, e solo dopo (anche la memoria di Marino “affiorava” lentamente) lui, che aveva detto: “e subito dopo ripartimmo per Torino”, ammette invece che sì, era venuto a casa mia, aggiungendo che “era normale che tutti andavano a casa di Adriano”. Aveva inventato di aver avuto con me un colloquio – il “mandato” – nella piazza del comizio per una sola ragione: di sostenere che “era stato avvicinato da Sofri e da Pietrostefani”. Poi Pietrostefani dimostrò che lui non era a Pisa quel giorno, e fine della storia, salvo che per i giudici condannatori, e per Mughini. Il quale, sempre a memoria, ha dichiarato – molte volte, moltissime, per una ventina d’anni almeno – di ritenere che io “sapessi” chi aveva attentato a Calabresi. Poi, via via che la sua memoria si metteva a fuoco – vent’anni, trent’anni – il “dubbio” che resta a Mughini è se io sia stato un mandante riluttante o un mandante entusiasta. Ecco, ho spiegato con un piccolo esempio come fui condannato, io e i miei.
Appendice: Mughini scrive dei miei “sei (6) anni trascorsi in cella”. L’ha detto altre volte. Sono in due, lui e il vocato carceriere Travaglio, più gli epigoni che vi si regolano. Nel carcere, quello coi muri e le sbarre, sono stato nove (9) anni – e altri anni detenuto fuori. Di quegli anni in cella loro me ne tolgono tre: uno sconto di pena, sui generis.
Sul resto: l’interrogatorio di Pinelli era concluso, dice Mughini, che non sa di che cosa parla. Né ha capito che differenza segni la provata presenza di una squadra intera degli Affari Riservati a dirigere l’inchiesta sulla strage sin dalla mattina dopo rispetto a indagini e sentenze che non l’hanno mai conosciuta, e che anche dopo hanno fatto finta di non conoscerla. Dice Mughini che ho molto più da rivelare io che gli Affari Riservati: confido che almeno loro se ne sentano calunniati offesi. Del resto renderà conto ad altri. Mughini è un caso di sprezzo del ridicolo. Una somatizzazione del disprezzo del ridicolo. Vede “un’intelligenza del destino” nella circostanza che fa capitare su una stessa pagina di giornale un suo pezzo e uno mio. Addita i “quattro talenti di una generazione” in me, Mieli, Cacciari e Galli della Loggia. E Ricky Gianco?