Miliziani pro-iran protestano di fronte all'ambasciata degli Stati Uniti a Baghdad (foto LaPresse)

“Fuori l'Iran dall'Iraq”

Adriano Sofri

I prossimi giorni mostreranno se e fino a che punto la ribellione civile che aveva scosso l’Iraq da mesi sia uscita piegata dalla mobilitazione antiamericana suscitata dall’attacco a Suleimani

Salvi possibili colpi di mano e di missili, i prossimi giorni, e già oggi, venerdì, mostreranno se e fino a che punto la ribellione civile che aveva scosso l’Iraq da mesi, contrapponendo con una determinazione senza precedenti, e con un costo di vite altissimo, la popolazione in grandissima maggioranza sciita, specialmente la sua parte più giovane, al regime delle tribù e delle bande armate sciite e dei loro notabili, sia uscita piegata e ricattata dalla mobilitazione antiamericana suscitata dall’attacco a Suleimani e ai suoi. C’è un apparente paradosso, perché la parola d’ordine oggi proclamata dal regime di Baghdad, l’uscita degli Stati Uniti e di tutte le forze straniere dal paese, sembra la stessa che aveva sospinto le grandi manifestazioni popolari di strada, da Nassirya a Bassora alla capitale alle città sacre della shia. La differenza fatale sta nel fatto che quel programma “nazionale” è ora agitato dal notabilato sciita legato all’Iran dei pasdaran, che lo fa proprio, mentre la rivolta popolare aveva preso di mira soprattutto l’invadenza iraniana e la sudditanza dei partiti e delle milizie obbedienti a Suleimani

 

 

E’ caratteristico, benché come sempre grottesco, l’atteggiamento del demagogo Moqtada al Sadr, titolare del principale pacchetto di voti in parlamento. Dopo aver fatto la voce più grossa di tutti sulla ritorsione antiamericana – chiusura dell’ambasciata a furor di popolo, cacciata e “umiliazione” delle truppe – Sadr si è affrettato a dichiarare conclusa la fase acuta del confronto fra Usa e Iran, a invitare le milizie sciite ad astenersi da prove di forza, a concentrare tutto su nuove elezioni e sul programma politico e diplomatico dell’uscita delle forze straniere dal paese. E insieme a spegnere il movimento delle manifestazioni, di cui a lungo aveva cercato di risultare il principale beneficiario, prima di esserne scavalcato: proprio a Najaf, la città sacra del santuario di Ali, il primo imam sciita, e roccaforte della famiglia di Sadr, alla fine di novembre il consolato iraniano era stato assaltato e dato alle fiamme dalla folla al grido di “Fuori l’Iran dall’Iraq”.

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