Il grande romanzo per immagini che racconta cosa leggeva la Madonna
Nel libro di Michele Feo l’età antica e medievale identifica la civiltà stessa
Che cosa leggeva la Madonna? Sapete che nelle raffigurazioni di Maria, e specialmente nelle Annunciazioni, compare un libro (o più d’uno): tenuto in mano per leggerlo, o chiuso con un dito a tenere il segno, o posato su un leggìo. In alcuni dipinti è possibile distinguere il testo, e Michele Feo ha messo a frutto la sua preparazione filologica, paleografica e petrarchista, oltre che la sua memoria d’infanzia, per rispondere alla domanda: “Che cosa legge la Madonna?”, ricavandone “quasi un romanzo per immagini”. “Non sono un teologo, né uno storico dell’altro, né un credente”, avverte Feo, accingendosi alla sua “storia meravigliosa” (Cosa leggeva la Madonna, “La Colombaria”, Polistampa, 304 pp., 20 euro). Delle parole dipinte sulle pagine dell’Annunciazione – il 25 marzo – dà qui 41 illustrazioni, un passo verso quell’inventario di tutte le testimonianze figurative di Maria che legge, ancora mancante.
La fonte sta nel vangelo di Luca, dove l’arcangelo Gabriele (l’arcangelo non è il più alto nella gerarchia angelica, ma il più vicino agli umani) appare a Maria a Nazareth, la saluta piena di grazia, la esorta a non aver paura e le annuncia che concepirà e partorirà un figlio che si chiamerà Gesù. In qualche apocrifo una prima voce dell’angelo raggiunge Maria alla fontana, e lei si rifugia in casa a filare: pozzo e strumenti della tessitura figurano in rappresentazioni precoci, fino all’avvento decisivo del libro, attestato dal IX secolo. La Vergine può tenere il libro nella destra e il fuso nella sinistra. L’immagine si fa più sicura via via che cresce l’accesso delle donne alla lettura e alla scrittura, fino al XII secolo di Abelardo, “l’età in cui lo zio di Eloisa sogna per la nipote una educazione che la renda la prima fra le donne di Parigi per cultura come era la prima per bellezza: questa età deve aver sentito che la donna più alta e più pura di tutte le creature sapesse anche leggere e anche scrivere”. Dopo Giotto, le Marie leggenti non si contano più, Feo ne ha elencate centinaia, e due diramazioni maggiori: Maria che legge un libro aperto posato su un leggìo o in grembo, o che ha letto e tiene il libro chiuso in mano o lo ha posato accanto a sé. E man mano Maria passa dall’umile casa a una dimora splendida, diventa una gran signora, finché la spiritualità di fine Cinquecento ne rifà una giovane donna del popolo. Dunque Maria legge le parole profetiche di Isaia: Ecce virgo concipiet et pariet filium et vocabitur nomen eius…, che collegano le attese dell’Antico Testamento con il compimento cristiano del Nuovo. E’ mirabile, dice Feo, che “in secoli nei quali l’istruzione era relegata a cerchie molto ristrette della società, la Madre di tutti sia stata pensata e venerata come sapiente e strettamente legata a un libro”; e nel libro l’età antica e medievale identifica universalmente la civiltà stessa. Nella meravigliosa Annunciazione di Gruenewald sull’altare di Isenheim il passo di Isaia si legge intero sulle due pagine. Dunque Maria legge nelle profezie la sua propria storia e vi riconosce il suo destino, scritto nel libro sacro come sarà scritto nel libro galeotto il destino di Francesca e Paolo. Sant’Ambrogio, IV secolo, scrive luminosamente: “Questo Maria l’aveva letto, e perciò credette che potesse accadere”. Feo passa attraverso le varianti della figurazione: Gabriele con le braccia incrociate invece che Maria, o la comparsa di due angeli, o le parole pronunciate da Maria, Ecce ancilla Domini, fiat…, trascritte nel libro come sottotitolato, o il libro conteso da Maria già madre e il Bambino, o Maria che sulle pagine fa da maestra al Bambino, mater et magistra. La ricerca di Feo ha un suo traguardo essenziale nell’Annunciata di Antonello a Palazzo Abatellis a Palermo. Qui non c’è una variante, c’è tutt’altro. “E’ la più bella di tutte le Annunciate che furono che sono e che saranno, e a mio gusto è l’opera più grande di tutta la pittura europea”, scrive Feo. Maria è sola, solo un ritratto, il busto e le mani, e il leggio e il libro. Antonello ha dipinto più Annunciazioni e alcune, come quella di Siracusa, sono così nobilmente tradizionali da far pensare che non abbiano niente a che fare con l’Annunciata, e a suggerire che quest’ultima non sia davvero un’Annunciazione. Un’altra ce n’è che invece le somiglia, la tavola di Monaco, anche lì la giovane è sola, velata – ha un’aureola, però – le mani agitate in primo piano, il libro aperto e le pagine rialzate. (Antico avventore di archivi e biblioteche e maneggiatore e scopritore di codici, Feo scherza sugli iperinterpreti secondo i quali i fogli sono sollevati dal soffio dello Spirito: “I codici, posati sul leggìo, sollevano le pagine per effetto della legatura e del lungo stare richiusi, e per tenerle ferme occorre usare pesi o altri strumenti o seguire la lettura della pagina poggiando su di essa un cartoncino – senza che le smuova lo Spirito Santo”). Ma è proprio la somiglianza del soggetto a esaltare la differenza fra i due dipinti: “Si direbbe che l’artista intenzionalmente abbia calcato la mano su questi tratti identici, per meglio far risaltare le diversità”.
La Maria di Monaco, gli occhi sbarrati, la bocca aperta a pronunciare parole o a mostrare sgomento, le dita divaricate retoricamente, è ancora parente delle annunciazioni di sempre. “L’eccezione sta nella tavola di Palermo”. Vorrei tuttavia opporre alla appassionata interpretazione di Feo una mia idea dell’Annunciata di Palermo, profana e impressionista. Tante volte ho guardato negli occhi quella tavoletta di 45 centimetri per 34,5 – è la prima sorpresa dei visitatori, com’è piccola! – e tante più volte l’ho riguardata riprodotta. E non riesco a vederci molte delle cose che altri indicano: un pudore casto, una timidezza, un turbamento, o un accenno di sorriso, un’esitazione… Al contrario, l’Annunciata è autorevole. Il gesto celebre della destra – “la mano più bella della pittura universale” – è più vicino a un Noli me tangere che a un’accettazione. Feo immagina, ed è una bella immagine, una Maria che ha letto i testi, ha appreso della Vergine che concepirà e viene d’un tratto colta dal presagio che è del suo destino che si parla. L’illuminazione della sua intelligenza precede l’angelo che sta per arrivare: “Poco dopo arriverà e sarà quella la vera annunciazione. Questa di Palermo non è l’annunciazione, ma dell’annunciazione solo la premonizione”. Bello: io penso il contrario. Penso a un angelo già passato e andato, ammesso che ancora se ne senta il bisogno. Lei ha saputo, ha capito, si è chiusa, tiene le labbra strette e affida l’avvertimento alla mano, fissa una distanza col mondo che poco fa è stato suo: “D’ora in poi…”. Si chiama l’Annunciata – non fu Antonello a chiamarla così, del resto – e si può prendere il nome in parola, come un participio passato: colei cui è stato annunciato. Non guarda più nessuno, nemmeno il punto dal quale è scomparsa la luce dell’arcangelo, sta in un proprio pensiero. Il suo mistero è chiuso in lei. Non c’è l’angelo, non c’è l’aureola. Non ha bisogno né dell’uno né dell’altra.