Rosa Luxemburg e le "metafore facili"
Leggendo lo "Herbarium", in cui vengono riprodotti gli esemplari di foglie e fiori conservati per anni e annotati in 17 quaderni, non possiamo non dirci luxemburghiani
Nei giorni scorsi qualcuno mi ha imputato un ricorso melodrammatico a metafore facili, cinciallegre e albicocchi precocemente fioriti. Intanto, non sono metafore. Una vera cinciarella – a volte una coppia – becchetta davvero tutti i giorni per ore ai vetri della mia finestra. E un vero albicocco ha sventatamente deciso di fiorire nel mio giardino, illuso da un anticipo di primavera. Ma per rivendicare appieno la virilità delle mie immagini, mi rifarò all’autorità più solenne: “Qualche volta ho la sensazione di non essere un vero e proprio essere umano, ma qualche uccello o un altro animale in forma umana; nel mio intimo mi sento molto più a casa mia in un pezzetto di giardino come qui, oppure in un campo tra i calabroni e l’erba, che non… a un congresso di partito. A lei posso dire tutto ciò: non fiuterà subito il tradimento del socialismo. Lei lo sa, nonostante tutto io spero di morire sulla breccia: in una battaglia di strada o in carcere. Ma nella parte più intima, appartengo più alle mie cinciallegre che ai ‘compagni’”.
Si tratta di Rosa Luxemburg, naturalmente, e sono pensieri dettati da una galera, per i quali non possiamo non dirci luxemburghiani. Proprio ieri Guelfo, dopo molti rinvii per le mie assenze, mi ha portato un regalo dei miei cari basisti berlinesi, Silke ed Enzo: lo “Herbarium” di Rosa, pubblicato per la prima volta integralmente nel 2016 dalle edizioni Karl Dietz. Sono 416 pagine che riproducono gli esemplari di foglie e fiori conservati per anni e annotati in 17 quaderni dalla grafia elegante di Rosa. I quaderni avevano viaggiato di là e di qua dall’oceano avventurosamente, seguendo le vicissitudini tragiche dello scorso secolo, fino a riemergere a Varsavia nel 2009. Rosa aveva scritto alla sua amica Mathilde Jacob, custode dell’amata gatta Mimi: “Non so se vi ho già mostrato i miei erbari in cui, a partire dal maggio 1913, ho classificato più o meno 250 piante, tutte magnificamente conservate, le ho tutte qui insieme ad alcuni atlanti e adesso posso aprire un nuovo quaderno”. Cinque anni fa l’erbario era stato esposto a Firenze alla Specola e all’Institut français nelle fotografie di Anaëlle Vanel, introdotte da Isabelle Mallez e Chiara Nepi, dell’Orto Botanico fiorentino. Tanti nomi di donne, cui allego a fondo pagina il mio, per riscattarne la virilità. “Tutte le mattine ispeziono scrupolosamente le gemme di ogni mio arbusto…; ogni giorno faccio visita a una coccinella rossa con due puntini neri sul dorso che da una settimana mantengo in vita su un ramo, in un batuffolo di calda ovatta nonostante il vento e il freddo… e in fondo non mi considero più importante di quella piccola coccinella e, piena del senso della mia infima piccolezza, mi sento ineffabilmente felice”.