Chiesa e sinistra dovrebbero parlare a chi ha qualcosa da perdere, e la sta perdendo
In un'intervista a un suo biografo britannico, il Papa parla del suo confinamento e dell’occasione, la necessità, che la pandemia offre alla metànoia, la conversione. Postilla alla piccola posta di ieri
Postilla alla piccola posta di ieri. Ieri era la giornata internazionale dell’infermiere, e il papa Francesco ha ripreso la sua immagine della Chiesa come “ospedale da campo dopo la battaglia”. L’aveva introdotta nel lungo colloquio-intervista del 2013 per la Civiltà Cattolica con padre Antonio Spadaro S.I., il quale, sospettato suggeritore dell’immagine, ne ha fatto a sua volta un uso costante. Carica di obiezioni e dissociazioni – la più distinta da Giuliano F.: “le mie ferite non sono curabili nel suo ospedale da campo” – l’immagine, derivata del resto dalla parabola del samaritano, ha avuto una sua rianimazione semiprofetica negli effettivi ospedali da campo montati “durante la battaglia” contro la pandemia. Che è costata un numero ingente di vite a medici e infermieri samaritani. Ho letto una intervista dello scorso mese del papa a un suo biografo britannico, Austen Ivereigh, tradotta per la stessa rivista gesuita da Spadaro, che ne era stato mediatore. Francesco parla del suo confinamento e dell’occasione, la necessità, che la pandemia offre alla metànoia, la conversione. Parla della discesa nel sottosuolo, nel mondo degli spogliati, del bisogno di “capire chi prima aveva e ora non ha più”. E’ quasi l’interlocutore cui avevo provato a dire che, ciascuno col proprio linguaggio, Chiesa e politica di sinistra dovrebbero riuscire a parlare, oltre che agli ultimi, gli spogliati, i defraudati, quelli che non hanno da perdere che le loro catene o nemmeno più quelle. Quelli che hanno qualcosa da perdere, e che la stanno perdendo.